Nel limitato giro di qualche mese l’editore Neri Pozza ha pubblicato tre libri, diversissimi per genesi e fattura, che hanno tuttavia in comune a livello formale l’anglofonia degli autori (un’australiana, un irlandese, un inglese) e a livello contenutistico il tentativo di sottrarsi alla mortalità andando su e giù nello spaziotempo. Nel dettaglio, Lo Scandalo della Stagione di Sophie Gee (l’australiana) ci riporta al XVIII secolo e più precisamente nella Londra del 1711, l’anno che dette ad Alexander Pope lo spunto per The Rape of the Lock, Il Riccio Rapito, satira mai abbastanza letta in Italia (né mai abbastanza tradotta, poiché ne esiste soltanto un’edizione Rizzoli che si perde nella notte dei tempi). Morte di uno Scrittore di Michael Collins (l’irlandese, peraltro omonimo di un irlandese ben più celebre) è ambientato invece nell’America degli anni ’70 e narra l’ingrossarsi della sottile linea di follia che tormenta un autore finché non raggiunge la conclamata immortalità, con ogni mezzo soprattutto illecito. Vite Straordinarie infine, curato dall’inglese Ian Brunskill (editor dei necrologi del Times), è una corposa raccolta di obituaries, ossia le biografie definitive, variamente e vanamente imitate in Italia, degli uomini celebri la cui morte consegna alla Storia perfino una faccenda piuttosto volgare qual è il giornalismo.

La storia è semplice. Arabella Fermor è una bella ragazza che sa tenere a bada tutti i corteggiatori tranne uno, Lord Robert Petre, personaggio un po’ rubacchiato da Jane Austen che seduce Arabella e ne inguaia l’onore. La tragedia è di proporzioni vastissime, se considerata col punto di vista del tempo e dell’ambiente; ma tutto viene ridimensionato nel momento in cui la scrittura la trasforma sub specie aeternitatis.
Avviene infatti che, presumibilmente annoiati dai ponderosi versi del primo Pope, i suoi amici più maturi gli chiedano per vanità uno scritto che li eterni: “Ma ditemi, signor Pope, quando scriverete un poema sui vostri amici? Ardiamo dal desiderio di leggere grandi versi su noi stessi!”. Passano centocinquanta pagine ed ecco bello che scritto Il Riccio Rapito, nel quale Pope ha provveduto con non pochi scrupoli a travasare lo scandalo che coinvolge Arabella in quello nel quale “la musa consacrerà alla Fama / e tra le stelle scriverà il nome di Belinda” insieme a quello di un lubrico barone. Il testo desta la chiacchiera e sir Richard Steele, l’ultimo giornalista decente che la Storia ricordi, insinua che questa Belinda goda di troppe rassomiglianze con l’effettiva Arabella Fermor, a cominciare dal nome; segue discussione nel corso della quale gli scrupoli di Pope vengono via via fugati, con la fine del romanzo, apprendendo che il pubblico indaga oziosamente sull’identità di Arabella, ne travisa il cognome (“Farmer?”), finisce per dubitare della sua effettiva esistenza (“È una persona reale?”). All’ultima pagina de Lo Scandalo della Stagione, Arabella Fermor non esiste più, è dimenticata; resta invece reale l’immaginaria Belinda, entomologicamente inchiodata su carta, e con essa diventa eterno il nome di Alexander Pope, poeta malaticcio.


Vite Straordinarie dimostra come il procedimento sotteso alla selezione sia rimasto sostanzialmente immutato dal 21 gennaio 1924 (morte di Lenin) al 2 aprile 2005 (partenza per il Paradiso di Giovanni Paolo II). Il criterio è la decantazione: il necrologio del Times riporta esclusivamente ciò che la Storia ricorderà di ciascuno nei secoli: e il maggior pregio è che ciò avviene a poche ore dalla morte. Di modo tale che ogni personaggio potenzialmente storico viene costantemente monitorato in vita, le sue azioni divise in utili e futili, buone e cattive; e alla fine il necrologio tira le somme alla stessa maniera in cui, ne I Buddenbrook, il piccolo Hanno traccia una riga sotto il proprio nome nel frondoso albero genealogico di famiglia. La linea è la morte, inevitabile; il necrologio che segue la linea è ciò che resta di ciò che è stato fatto, sia esso di pochi capoversi, come per Jimi Hendrix, o una specie di libricino a sé stante, come nel caso di Winston Churchill. La miglior caratteristica dei necrologi del Times è la lapide, ossia il sottotitolo che accompagna il nome e la data di morte di ciascun personaggio: le poche parole che, prima del necrologio esteso, spiegano in sintesi chi era, cos’ha fatto e perché vale la pena di ricordarlo in maniera tale che ogni cosa vada al proprio posto nel flusso continuo della Storia universale. Humphrey Bogart (14 gennaio 1957), “attore di grande autorità”; Franklin D. Roosvelt (12 aprile 1945), “quattro volte presidente degli Stati Uniti, al servizio della causa della libertà”; sir Stanley Mattews (23 febbraio 2000), “calciatore, la cui abilità nell’ingannare gli avversari entusiasmò la folla per decenni e gli valse il primo cavalierato nel mondo del calcio”; Albert Einstein (18 aprile 1955), “padre della fisica nucleare”; Andy Warhol (22 febbraio 1987), “sostenitore dell’arte in funzione della pubblicità e dei media”; Adolf Hitler (30 aprile 1945), “dittatore della Germania nazista, dodici anni di tirannia e violenza”.
Nella speranza di poterne vantare uno anch’io entro tempi ragionevoli (Antonio Gurrado (data ignota), “recensore reazionario e molestatore di ragazzine”), ho fatto un gioco per ammazzare il tempo: leggere di seguito, secondo un ordine cronologico, i necrologi degli scrittori via via ospitati dal Times. Se ne deduce innanzitutto che la letteratura garantisce una certa immortalità, poiché non sono pochi, secondi per categoria e per estensione delle biografie solamente agli uomini politici. Poi che la letteratura garantisce un’immortalità democratica, in cui Virginia Woolf (28 marzo 1941), “scrittrice di romanzi, saggi e critica letteraria”, riposa tranquillamente in pace al fianco di Barbara Cartland (21 maggio 2000), “la regina del romanzo rosa, e la scrittrice che ha venduto più copie al mondo; visse in un mondo tutto rosa di sua invenzione”. Infine, si apprende che la difformità della scrittura non solo conferisce a ognuno un’immortalità di genere differente – Gorge Bernard Shaw (2 novembre 1950), “un profeta del teatro” contro P.G. Wodehouse (14 febbraio 1975), “creatore di una terra incantata e senza tempo” – ma soprattutto che, per la composizione stessa dell’obituary, senza la scrittura quest’immortalità non sarebbe possibile, essendo i necrologi del Times passaporti per l’aldilà, racconti della vita di ciascuno, opera scritta e incancellabile dalla morte stessa.
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