A Pavia, o meglio a San Martino Siccomario, c’è un centro commerciale nel quale sono stato spinto da insopprimibili bisogni; nel quale inoltre, esso distando abbondanti chilometri dal luogo in cui alloggio e io non detenendo regolari patente né tampoco automobile, ho avuto l’obbligo di recarmi in autobus. Il tragitto è elementare, Watson: si parte da strada Nuova all’altezza di piazza Vittoria (esattamente al centro di Pavia, incrocio di cardo e decumano reso maggiormente visibile dalla discreta presenza delle seicentosessantasei vetrine della pellicceria Annabella) e si procede in discesa verso il Ticino, lo si oltrepassa (non già guadandolo ma grazie a un apposito ponte), si esce dall’abitato di Pavia e prima ancora di entrare nell’abitato di San Martino Siccomario (sempre che vi abiti davvero qualcuno, a San Martino Siccomario) l’autobus si ferma esattamente di fronte al centro commerciale in questione. Nulla di più facile; se non che tanta facilità nel percorso contrasta con l’estrema difficoltà di acquisire il diritto a compierlo.
All’andata, è sufficiente entrare in una qualsiasi tabaccheria su Strada Nuova (ce n’è a bizzeffe), chiedere un biglietto, farselo consegnare, pagare un euro, chiedere conferma riguardo al punto di partenza dell’autobus per San Martino Siccomario, sentirsi rispondere che il biglietto appena acquistato non è valido per andare a San Martino Siccomario, chiedere con sorpresa se il l’autobus per San Martino Siccomario è differente dagli altri autobus urbani e suburbani, sentirsi rispondere che l’autobus è uguale ma che il biglietto è diverso, restituire quindi il biglietto appena acquistato richiedendone in cambio uno valido, sentirsi rispondere dal tabaccaio che lui ha solo biglietti per non andare a San Martino Siccomario, sottrarre rapidamente al tabaccaio l’euro precedentemente consegnatogli che lui vi porge titubante, uscire dalla tabaccheria, precipitarsi alla fermata, notare che nei dintorni c’è un’edicola, supporre che l’edicola potrebbe addirittura vendere dei biglietti d’autobus, avvicinarsi all’edicolante, con fare sospetto chiedergli se vende biglietti d’autobus o solo rotocalchi femminili, sentirsi rispondere che ne vende e come, chiedergli se detiene addirittura biglietti per chi abbia l’uzzolo di andare a San Martino Siccomario, sentirsi rispondere che lo spaccio di biglietti per San Martino Siccomario è la sua specialità nonché il suo principale titolo di merito, porgergli l’euro in cambio del biglietto per San Martino Siccomario, sentirsi rispondere che il biglietto per San Martino Siccomario costa invero un euro e venticinque, cercare i restanti venticinque centesimi, vedere con la coda dell’occhio che nel frattempo sta giungendo in gran fretta l’autobus per San Martino Siccomario, apprendere dall’edicolante che il medesimo biglietto può essere acquistato sull’autobus, scusarsi con l’edicolante e salire al volo sull’autobus prima che levi gli ormeggi per San Martino Siccomario, chiedere un biglietto al conducente, sentirgli chiedere se si vuole un biglietto per San Martino Siccomario, replicare che a bordo dell’autobus per San Martino Siccomario è piuttosto usuale munirsi di biglietto per San Martino Siccomario, sentirsi rispondere che il biglietto costa di più, replicare senza perdersi in dettagli inutili che è già esperito (nella tabaccheria e in edicola) che il biglietto per San Martino Siccomario è differente e costa di più del biglietto urbano ordinario, sentirsi rispondere che ciò nondimeno il biglietto per San Martino Siccomario emesso all’interno dell’autobus costa più del biglietto per San Martino Siccomario emesso all’esterno dell’autobus, replicare che giocoforza il biglietto va fatto tanto più che l’autobus s’è già messo in moto e procede indefesso verso San Martino Siccomario, pagare un euro e venticinque di biglietto per San Martino Siccomario più la sovrattassa di centesimi cinque, ottenere il biglietto per San Martino Siccomario, obliterarlo, sedersi, aspettare.
Al termine di questa funzionale procedura, si raggiunge San Martino Siccomario in men che non si dica e si può procedere all’espletamento degli insopprimibili bisogni, che nel mio caso consistono nell’acquisto di un paio di maglioni di lana per difendersi alla bell’e meglio dall’avanzare del freddo (il pianeta si va surriscaldando, eh?) e non già – ci tengo a sottolineare – nell’accoppiarsi a casaccio con donne uomini e animali com’è universalmente risaputo che avvenga nottetempo nel parcheggio del medesimo centro commerciale di San Martino Siccomario.
Per il ritorno le cose si complicano. Innanzitutto, sono passate le sette di sera e questo, a Pavia e provincia, crea a priori terrore e scompiglio fra gli indigeni. Cosa piuttosto preoccupante, l’autobus è ancora fermo nella piazzola in cui era arrivato, dal lato destro della strada e quindi presumibilmente in senso di marcia opposto rispetto alla direzione di ritorno a Pavia. Se non che l’intervento salvifico di una signora mi assicura che curiosamente l’autobus provvederà miracolosamente a immettersi nuovamente sulla strada per Pavia e quindi mi trattiene dal recarmi alla banchina opposta e salire sull’autobus che procede apparentemente nel senso giusto ma effettivamente (desumo) in senso contrario, come invece hanno prontamente fatto degli studenti spagnoli in Erasmus a Pavia dei quali a tutt’oggi si sono perse le tracce. Dopo un’attesa superiore al tempo trascorso nel centro commerciale provando ogni singolo maglione di lana, si palesa il conducente, il quale sale a bordo e mette in moto. Lo raggiungo chiedendogli di emettere un biglietto per Pavia. Risponde di no. Gli assicuro che non pretenderò di pagarlo un euro e venticinque ma che sarò ben lieto di aggiungervi cinque centesimi di sovrattassa. Risponde che manco a parlarne. Gliene chiedo ragione. Argomenta che non si può fare il biglietto sugli autobus. Gli faccio notare che sulla fiancata del medesimo autobus del quale ha acceso il motore c’è scritto a caratteri cubitali Da Oggi Puoi Fare Il Tuo Biglietto Anche Sull’Autobus. Mi risponde che non conta ciò che c’è scritto a caratteri cubitali, ma ciò che è specificato a caratteri minuscoli. Lo rendo partecipe della mia ignoranza al riguardo. Mi illustra che sotto l’enorme scritta con le iniziali maiuscole viene messo in chiaro che l’emissione dei biglietti sull’autobus è consentita nella fascia oraria di chiusura delle edicole. Protesto che sono trascorse le diciannove pertanto le edicole sono chiuse. Risponde che le edicole chiudono alle diciannove e trenta. Descrivo un ampio gesto della mano col quale gli illustro che nell’enorme parcheggio circostante non è possibile rinvenire nessuna edicola, aperta o chiusa che sia, così come anche nel raggio dei due o tre chilometri circostanti. Conferma di esserne consapevole, ma ribadisce che non gli è consentito emettere un biglietto per Pavia nemmeno se glielo pagassi, toh, un euro e trentacinque. Con mossa disperata cerco di convincerlo spiegandogli che un suo collega aveva emesso il biglietto per il percorso inverso alle cinque e mezza, quando le edicole sono ancora aperte persino a Pavia e presumibilmente anche a San Martino Siccomario (sempre ammesso che vi siano delle edicole, a San Martino Siccomario). Rimarca il torto del collega e gli dà del fuorilegge accusandolo di aver avidamente voluto appropriarsi dei miei cinque centesimi in più, quando era invece evidente che il suo dovere consisteva nel mollarmi al centro di Pavia a lacrimare sul mancato acquisto dei maglioni di lana. Gli chiedo allora se gli è possibile attendermi per il tempo necessario a cercare un altro luogo nei dintorni dove acquistare un biglietto d’autobus per Pavia. Mi risponde che non c’è nessun altro luogo nei dintorni dove acquistare un biglietto d’autobus per Pavia. Avanzo l’ipotesi che sia suo dovere emetterlo, in tal caso, a bordo del medesimo autobus in questione. Sdegnato, fermamente ribadisce che gli è proibito infrangere le direttive dei superiori. Indago timoroso allora sul da farsi, paventando in cuor mio che il suo recondito scopo consista nel farmi trascorrere la notte nel parcheggio del centro commerciale di San Martino Siccomario per poi avere agio di abusare a piacimento delle mie stanche membra, col favore delle tenebre incombenti. A sorpresa risponde che non sono fatti suoi e che posso viaggiare senza biglietto, con tutti i rischi del caso. Protesto che non ho intenzione alcuna di viaggiare senza biglietto e, anzi, che nutro un sincero desiderio di pagare per il breve viaggio che ci accingiamo a compiere. Con un pulsante chiude le porte a soffietto, quindi preme sull’acceleratore ripetendo che lui non può trasgredire la legge emettendo un biglietto dietro mia richiesta, e che se il bigliettaio si accorge del fatto che sono a tradimento sull’autobus senza regolare titolo di viaggio sono affari miei e cazzi amari. Conclude la querelle il nuovo intervento salvifico della signora la quale mette a disposizione una tacca del suo abbonamento mensile, privandosi di un viaggio da o per San Martino Siccomario che sull’istante le pago in contanti. Le porgo un euro e cinquanta e non mi dà il resto.
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