Restyling, restyling! Il lato B dell’Osservatore Romano è stato svelato con rapidità napoleonica al momento del cambio di direzione in favore di Giovanni Maria Vian; di solito avviene che i nuovi direttori lascino passare un po’ d’acqua sotto le rotative prima di rivoluzionare grafica e contenuti, o al contrario che il rimaneggiamento più o meno scioccante costituisca la zampata che certifica l’autorità consolidata di un direttore storico che teme il logorio della vita postmoderna. Invece, da un giorno all’altro, la foliazione dell’Osservatore è stata dimezzata (da 16 a 8 pagine); le illustrazioni sono state pressoché eliminate, e le poche residue sono state decisamente ridimensionate; la tradizionale cronaca di Roma, incredibile dictu, è svanita nel nulla. In particolare, è evidente la prospettiva fondamentale di Vian (il quale, fra una cosa e l’altra, insegna Letteratura Cristiana Antica alla Sapienza): ciò che differenzia il Papa dagli altri capi di Stato è che non persegue il benessere o la ricchezza o il progresso contingente ma la salvezza eterna, e che la salvezza a differenza del benessere (o della ricchezza o del progresso) non può essere circoscritta a un’unica nazione ma deve essere partecipata a tutto il mondo. Da un versante giornalistico, questo cambia radicalmente la gerarchia e conseguentemente la disposizione delle notizie. Ho sotto gli occhi il numero dell’Osservatore dello scorso giovedì, che titola “La Sacra Scrittura ci offre la guida dell’educazione e del vero umanesimo” pubblicando in prima pagina, senza mezza parola di commento, la lezione tenuta dal Papa nell’udienza del giorno prima. Le pagine due e tre sono dedicate a varie notizie dal mondo intero, tutte in stile conciso e assolutamente britannico, dando una netta sensazione di equidistanza di ogni punto della Terra dalla Città del Vaticano. Non c’è traccia delle vicissitudini del governo italiano (mercoledì scorso doveva essere approvata la legge finanziaria), mentre le pagine quattro e cinque sono dedicate alla cultura: resoconto dell’incontro fra mons. Ravasi e Giuliano Ferrara (moderati dal card. Ruini) in San Giovanni Laterano, riproposizione di un intervento dell’allora card. Ratzinger su fede e ragione (“Il vero illuminismo è il cristianesimo”), lunghi saggi sulla liturgia latina e sulle radici celtiche del Dies Irae. Le pagine sei e sette sono dedicate alla cronaca ecclesiastica, di nuovo worldwide, e infine pagina otto chiude il circolo con gli interventi secondari del Papa e l’elenco dettagliato dei gruppi presenti ad ascoltarlo. Così concepito, l’Osservatore è mirabile: con la sua aria un po’ snob di bollettino d’altri tempi, costituisce la conferma cartacea e quotidiana che non a Roma, non all’Italia, non al particolare guarda il papato ma a riunire tutti i popoli in uno solo nella fede in Cristo: la prima e l’ultima pagina, dedicate al Papa, sono la cornice che racchiude (abbraccia anzi) da un lato le vicissitudini politiche del mondo (le pagine due e tre) e dall’altro le alterne fortune della Chiesa (le pagine sei e sette), il cui centro e fulcro è la riflessione razionale sul mistero della fede (le pagine quattro e cinque). Così concepito, l’Osservatore di Vian dà la misura della fiducia incrollabile che, comunque vada, non praevalebunt.
Restyling, restyling! Il lato B del Corriere della Sera, orgogliosamente mostrato da Paolo Mieli & co. a seguito di rutilante battage pubblicitario sul mondo che cambiando fa cambiare necessariamente anche il quotidiano più comprato d’Italia (quello più letto, invece, è la Gazzetta dello Sport), è sconvolgentemente simile a Leggo, oppure a Metro, oppure a City, insomma a uno dei tristi giornaletti tristemente gratuiti che i tristi milanesi leggono tristemente sui tristi treni che li conducono ai loro tristi uffici. Tempo ce ne vorrà, certo, ma la strada imboccata è quella: non solo per la colorata fascia superiore che fa rimpiangere il candido Corriere di Alberini anche a chi (come me) non è nato in tempo per comprarne mezzo, ma anche perché gli articoli sono improvvisamente diventati più corti, dando ragione in maniera preoccupante alla boutade di Ernesto Galli della Loggia il quale, dopo aver sottolineato con veemenza “il Corriere non sono io”, ha argomentato nel corso della sua conferenza sul Papa che i quotidiani ormai rincorrono un pubblico che vuole essere lasciato in pace a guardare la tv. Di bruttarello, inoltre, c’è che il nuovo Corriere della Sera nel corso del restyling s’è dimenticato di far finta di non trovare spazio per le imbarazzanti frasettine di Severgnini e Lina Sotis; imbarazzanti per motivi diversi anzi opposti: le prime perché Severgnini ha un’ironia che meglio funziona sulla pagina lunga, e quindi cercando la battuta fulminante si incarta anzi si accartoccia; quelle di Lina Sotis perché monotone, talvolta gratuitamente offensive e vagamente isteriche (si sa, l’età). Di bello, invece, c’è che il nuovo Corriere ha moltiplicato i pani e i pesci, pigliando la pagina delle recensioni domenicali e sestuplicandola in ciascuno degli altri giorni della settimana (esclusa, genialmente, la domenica stessa): di modo tale che, al paziente lettore che vorrà ritagliarla ogni giorno e conservarla in eterno, resteranno in mano sei pagine a settimana, ventisei a mese, circa trecento all’anno, per un totale di almeno novecento libri recensiti. Mica pochi, e recensiti per bene. Quanto al Corriere della Sera Magazine, anch’esso ristrutturato, m’è mancato il coraggio: il totem di Biagi sulla copertina del primo numero ha funto da deterrente insormontabile. Sarà per il prossimo numero, spero. Tuttavia continuo a rimpiangere (e non capisco perché ristrutturando ristrutturando Paolo Mieli non la restituisca) la Domenica del Corriere, inserto illustrato leggibile con calma, fruibile a tutti, godibile nei decenni. Da riconcepire con l’esplicito scopo di giocarsela alla pari, nell’immaginario collettivo, con la televisione e con internet, senza per questo rinunziare alla carta, il cui odore fresco di stampa è l’asso nella manica di ogni quotidiano.
Restyling, restyling! Il lato B di Berlusconi, abbiamo scoperto alla fine, è Berlusconi stesso.
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