(Gurrado per Ore Piccole)
I libri che non mi piacciono hanno tutti un titolo indicativamente scoraggiante. Il Dolore Perfetto, ad esempio, sintetizza mirabilmente ciò che ho provato leggendo ciascuna delle sue quattrocento pagine. Così anche l’ultimo di Mariolina Venezia, Mille Anni che Sto Qui, si riferisce evidentemente al tempo in cui l’ho tenuto in stand-by sul comodino preferendo fare tutt’altro piuttosto che iniziare a leggerlo. Ché poi, prima ancora di averlo iniziato, già mi pareva di averlo digerito sulla base di indizi collaterali ricavati dalla terza di copertina: la faccenda della giovane scrittrice emergente che ha quarantasei anni; la faccenda della giovane scrittrice che vive a Roma ma non ha dimenticato le proprie radici lucaneggianti e materane (di Grottole, precisamente, sempre ammesso che esista per davvero); la faccenda della scrittrice emergente che ha pubblicato una raccolta di racconti per Theoria e nientemeno che tre libri di poesie in Francia (per un romanziere pubblicare poesie non è un buon segno; pubblicare in Francia non è un buon segno; pubblicare poesie in Francia promette decisamente male; farlo tre volte è diabolico).
Allora uno già s’immagina come andrà a finire, con il ricupero della storia plurisecolare della famiglia, sintetizzata in duecentoquaranta pagine per mancanza di sinonimi, infarcita in salsa democratica con la giovane rampolla ribelle e istruita che va altrove per cambiare aria ma tuttavia non rinnega le radici eccetera eccetera; si viene assaliti dallo sconforto quando ci si rende conto che si poteva scrivere il riassunto in seconda di copertina (“un Sud poco esplorato…le vicende straordinarie e quotidiane…il destino dona tutto e non risparmia niente…assorbiti dal vortice del tempo…la fine di un mondo…padri e figli, ma soprattutto madri e figlie…gli ideali politici, le lotte…la voglia di vivere…al di là di ogni ideologia, credo e religione…due palle a cocomero…”) senza aver nemmeno non dico letto ma soltanto aperto il romanzo. Va specificato che “due palle a cocomero” è una mia interpolazione.
Ciò nondimeno la seconda di copertina resta la parte più interessante e meglio scritta del volume. La casa editrice Einaudi, che è formata da gente che se ne intende, mette in guardia il lettore di Mille Anni che Sto Qui proponendo in quarta non solo l’avvertimento biografico “questo è il suo primo romanzo”, che è l’equivalente letterario del “nuoce gravemente alla salute” sui pacchetti di sigarette, ma anche un breve estratto della prosa di Mariolina Venezia, che suona: “Fin dalla mattina, quando entrava nella camera di Gioia, iniziava a raccontare. Storie che Gioia aveva sentito migliaia di volte, due palle a cocomero” (va specificato che “due palle a cocomero” è una mia interpolazione). Per gli speranzosi, per gli ottimisti e per gli ingenui che quando comprano un libro nemmeno se lo voltano fra le mani, la Einaudi ha scelto di schiaffare in prima di copertina, nella copertina propriamente detta, la sentenza che dovrebbe costituire il deterrente assoluto: “Le loro storie diventano un’unica storia. L’unica storia possibile. Una storia d’amore. Due palle a cocomero” (va specificato che “due palle a cocomero” è una mia interpolazione).
Ma io sono temerario e, con pomposo sprezzo del pericolo, ho voluto comunque leggere questo libro che puzza di già sentito lontano mille chilometri, che vive di una prosa sorprendente come un encefalogramma piatto, che gronda retorica narrativa per ciascuna delle sue duecentoquarantaquattro pagine di romanzo e una di ringraziamenti, che ha l’unico obiettivo di descrivere un meridione completamente corrispondente a come se lo immagina chi non c’è stato mai, o chi se l’è dimenticato e l’ha confuso coi quadretti stereotipi. Sarebbe stato più vivace leggere duecentoquarantaquattro pagine di ringraziamenti e una di romanzo.
Alla fine, più che leggere, giravo le pagine; pur limitando il mio campo visivo al centro della pagina, o a un rigo su tre, come un puzzle altrui il romanzo si veniva componendo intorno ai pochi indizi che scorgevo: e i barili d’olio, e il matrimonio saltato, e il ballo del valzer, e la contestazione giovanile; se poi, divorato dagli scrupoli, rallentavo la mia corsa e mi soffermavo a leggere parola per parola il capoverso che avevo degnato di solo mezzo sguardo, ecco che il romanzo di Mariolina Venezia corrispondeva esattamente a quello che avevo ricostruito in un fugace momento di ozio immaginativo: con la sola difficoltà che era difficile distinguere fra i vari don Franceschi e Colini e Rocchi e Mimmi, come se i personaggi tutti non fossero che la solita genia di zotici malcresciuti che assaltano gli scompartimenti dei treni e sbafando panini obesi riferiscono il gran teatro dei fatti loro impedendo alle persone decenti (metaletterariamente) di leggere in santa pace oppure (cosa che sarebbe stata più utile nella circostanza specifica) di richiudere il romanzo e mettersi a dormire.
Con Mille Anni che Sto Qui Mariolina Venezia ha vinto il Premio Campiello.
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