D’Annunzio, d’Annunzio, salvami tu! All’inizio de Il Fuoco stride il contrasto fra il primo tremar di cuore di Stelio Effrena, mentre taglia il Canal Grande in gondola, e il complessivo traballar di membra di me intento a leggerlo sull’Eurostar Bari-Milano, che parte alle 11:05 e arriva quando capita. D’Annunzio, d’Annunzio, tu che fosti di fianco alla Duse Foscarina, consolami del mio destino di rappresentante della minoranza italiana all’interno della carrozza 10; tu che al Vittoriale degli Italiani ti circondasti di ogni lusso sfrenato fino a morirne, spiegami perché mai io debba spendere 70 euri per avere accesso all’Eurostar degli Albanesi, col prezzo aumentato in proporzione al crescere del tempo di percorrenza e del cumulo di ritardi, senza nemmeno la consolazione della morte ma di nausee tutt’al più; tu che spirasti (così pare) attendendo i simultanei favori di una nobildonna e di una cameriera, giustificami dell’aver rischiato la vita per raggiungere il vagone ristorante cinque carrozze più indietro, scavalcando fetidi corpi immoti, e scoprire come la ristorazione consista nella scelta fra un tramezzino alla maionese verde e un panino americano al salmone marcio.
D’Annunzio, d’Annunzio, tu che schierasti in prosa magniloquente il superomismo patrio (“Su l’uguaglianza economica e politica, si andrà formando una oligarchia nuova, un nuovo reame della forza”), vieni e visita questa valle di lacrime proprie e tanfo altrui; vieni e stermina col tuo biplano la genìa dei critici letterari ottusi e paramarxisti, i quali tacciando di idee deliranti le più ragionevoli fra le tue considerazioni hanno contribuito ideologicamente al compimento dell’odierna democrazia ferroviaria: in cui è inammissibile potersi abbandonare silenti al flusso della parola tua, perché con l’occhio sinistro bisogna controllare a ogni passare e ripassar di bimbetto albanese che portafogli giacche e valigie giacciano sempre al posto proprio, e che la loro perdita non implementi vieppiù il costo del viaggio.
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