La distinzione fondamentale riguardo a Tifare Contro, il libro di Giovanni Francesio appena edito da Sperling & Kupfer, si trova nel sottotitolo: una storia degli ultras italiani. L’articolo indeterminativo – una – si contrappone recisamente alla pletora di storie universalistiche e di discorsi saputi che vengono tirate fuori ogni volta che, ultimamente troppo spesso, intorno a uno stadio si verificano guerriglie; si contrappone insomma a una televisione e a un giornalismo necessariamente schiavi dei limiti di spazio e di tempo e di prevedibilità, e come tali costretti a dare spazio ridondante alla cronaca in sé e a sintetizzare l’approfondimento secondo formule precotte che non disturbino il tranquillo dormicchiare dello spettatore, o del lettore. A queste simultanee spettacolarizzazione dei fatti e sterilizzazione delle idee Giovanni Francesio risponde con un libro sintetico, coraggioso, che si legge d’un fiato e che per fortuna non lascia tutti d’accordo.
Tifare Contro è una storia del tifo organizzato in Italia, coi suoi aspetti più violenti, e come tale si colloca a mezza strada fra l’inchiesta (non c’è mezza intervista, non c’è mezza notizia nuova, il tutto per serena e consapevole ammissione dell’autore), l’autobiografia (Francesio era un ultrà, ma non c’è nessun richiamo personalistico a singoli episodi vissuti), la mera cronaca e il saggio scientifico (dal quale si distingue in quanto le note a pie’ di pagina ci sono, ma non sono la parte più interessante del volume). Piuttosto si direbbe che Francesio segua un suo proprio ragionamento, e che per supportarlo chiami a testimonio una serie di eventi narrati in ordine cronologico che possano alfine confluire tutti nella dimostrazione di una tesi.
Il grande vantaggio di Tifare Contro è che non è un instant book. Per quanto pubblicato subito dopo la fine dell’anno orribile che ha visto morire Filippo Raciti e Gabriele Sandri per motivi uguali e antitetici, Tifare Contro raccoglie materiale che aveva già visto la luce qualche tempo fa su queste stesse pagine virtuali
Se dovessi svelare qui il ragionamento di Francesio, probabilmente gli farei un torto, magari deturperei i contenuti del libro o li traviserei. Però, da persona che non va mai allo stadio (per disprezzo dei luoghi troppo affollati, così come non vado praticamente mai al cinema o in discoteca o ai matrimoni o alla messa di mezzanotte a Natale), ho combattuto contro le tesi di Francesio una battaglia dagli esiti alterni: alle volte mi sono dato ragione da solo, altre invece ho dovuto riconoscere che non solo il torto era dalla mia parte ma che l’esperienza diretta dell’autore mi mostrava dati di fatto che io non avrei mai potuto prendere in considerazione – meramente per ignoranza.
Il maggior pregio di Tifare Contro è che, a discapito del titolo, non si tratta di un libro fazioso: o meglio, una volta appurata l’identità orgogliosa dell’autore, il quale ha vissuto in curva senza che ciò gli fagocitasse il ben dell’intelletto, il maggior pregio del libro è nel suo onesto essere di parte, e di porsi non come verità definitiva ma come piattaforma consapevole per un dialogo possibile. La rinunzia alla sistematicità, se non nella precisa ricostruzione storico-cronachistica degli eventi che congiungono la fondazione del primo gruppo ultras nel 1968 ai casi Raciti e Sandri nel 2007, si basa sulla dichiarata cognizione che “il mondo ultras è un mondo ambiguo, schizofrenico, multiforme e imprevedibile perché in perenne contraddizione con se stesso” (p.102). Francesio stesso lo paragona fugacemente a una balena inafferrabile – parallelo che si può sviluppare con la violenza eterodiretta e il contemporaneo impulso autodistruttivo di Moby Dick, ossessivamente inseguita dal progressivamente folle capitano Achab.
Emerge chiaramente dalle tesi di Francesio come la lotta titanica fra Stato e ultras sia inadeguata a priori in quanto combattuta con strumenti razionali (e talvolta patetici: come la proibizione di esporre striscioni in quanto alcuni di essi potrebbero essere un fattore che può portare a un incremento della violenza) quando invece coinvolge strati molto più profondi del singolo uomo, di intere classi sociali, dell’identificazione totale in una bandiera. Pur non essendo un libro di psicologia, Tifare Contro aiuta a osservare dall’interno questa psicodinamica delle masse, senza per questo propinare un’idea monolitica del mondo ultras, le cui infinite differenziazioni interne sono troppo spesso ignorate non solo dalla pubblica opinione, che ha diritto a essere distratta, ma anche dagli infiniti gruppi di studio che l’hanno osservato con la lente d’ingrandimento. Talvolta si è privilegiato il comun denominatore perdendo di vista la complessità; talvolta ci si è concentrati sui particolari tanto da non accorgersi dell’enorme marea montante – una dimostrazione per tutte è la plausibile e mirabile ricostruzione di Francesio riguardo alla catena di inaudite superficialità organizzative che nel 1985 hanno portato alla mattanza dell’Heysel.
Tifare Contro è un libro pieno di dati di fatto con una chiara linea interpretativa della quale l’autore sottolinea al contempo la ragionevolezza in termini relativi e la discutibilità in termini assoluti: ottimo punto di partenza, questo. Meglio ancora è il punto di arrivo, poiché Giovanni Francesio deliberatamente evita di proporre una soluzione valida, una panacea assoluta, una conclusione consolatoria: se non la si è trovata in quarant’anni, non sarà un libro di duecento paginette a risolvere problemi che coniugano il calcio, la politica, la psicologia e la lotta di classe. Però l’onestà, la serenità e la contrizione con le quali i problemi legati al mondo ultras vengono analizzati costituiscono un piccolo passo avanti; e, per quanto io non mi senta di concordare su tutto, ammetto senz’altro che camminare piano è sicuramente meglio di fingere di correre.
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