sabato 29 marzo 2008

Lo Stato dei Licei, 15: il sesso degli angeli

[Se la vendetta è un piatto che si serve freddo, mi piacerebbe chiamare stamattina la professoressa Stronzacchioni, che dieci anni fa fu membro esterno d’Italiano nella commissione dei miei esami di maturità. Il 4 luglio del 1998, in coda a un esame orale che mi fruttò complimenti e riverenze, la professoressa Stronzacchioni prese la parola per dire che il mio tema d’Italiano non era un gran che, e che parlando di Italo Svevo avevo addirittura utilizzato l’orrendo termine inettezza. Io ero stanco e non replicai; lo faccio oggi. Poco prima della prova scritta, infatti, avevo letto il volume che raccoglie i Racconti di Italo Svevo (Rizzoli, 1988) che la professoressa Stronzacchioni con ogni probabilità non ha aperto giammai in vita sua. Senza nemmeno bisogno di leggerlo tutto, a pagina 34 si legge a chiare lettere: era l’inettezza in persona. Parlando di Italo Svevo, avevo utilizzato un termine mutuato dallo stesso Italo Svevo. Il volume dei Racconti, essendo piuttosto corposo (ammonta a complessive 634 pagine), ha un dorso decisamente cospicuo che oggidì, come e più di dieci anni fa, vorrei dare di taglio sulla fronte vacante della professoressa Stronzacchioni. Mi trattengo dal farlo solo perché non so dove ritrovarla; ma, se dovessi incontrarla casualmente per strada, state pur certi che l’aggredirei.
Dallo stesso volume di Italo Svevo sappiate che deriva il titolo di questo blog effimero e tecnicamente inesistente, potenziale palestra di più alti cimenti letterari che di questo passo non arriveranno giammai. Scrive infatti Italo Svevo: Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul serio che di scribacchiare giornalmente. Si deve tentare di portare a galla dall’imo del proprio essere, ogni giorno un suono, un accento, un residuo fossile o vegetale di qualche cosa che sia o non sia puro pensiero, che sia o non sia sentimento, ma bizzarria, rimpianto, un dolore, qualche cosa di sincero, anatomizzato, e tutto e non di più. Altrimenti facilmente si cade, - il giorno in cui si crede d’esser autorizzati di prender la penna - in luoghi comuni o si travia quel luogo proprio che non fu a sufficienza disaminato. Insomma fuor della penna non c’è salvezza. E ora, Silvia G:]

Gurrado, com’è noto la necessità aguzza l’ingegno; in età giovanile, poi, la mente è ancora elastica, fresca e fantasiosa, e può arrivare a partorire espedienti estremamente creativi per divincolarsi dagli impicci, soprattutto quando le giovani menti in questione appartengono a studenti liceali e gli impicci altro non sono che le temibili interrogazioni quotidiane. Il bisogno tramuta spesso gli alunni della Terzaddì in fini psicologi, pronti a cogliere le debolezze caratteristiche di ogni insegnante e a servirsene conseguentemente per portare avanti i propri interessi; così, volendo distrarre la professoressa di scienze da un’interrogazione programmata, l’arguto alunno inscenerà durante la sua ora un dibattito a proposito delle incredibili difficoltà che gli studenti usciti dal liceo classico incontrano nell’affrontare i test d’ammissione alle facoltà di medicina o di scienze naturali, argomento assai caro alla professoressa Selli, che da sempre vorrebbe organizzare corsi extrascolastici di approfondimento scientifico proprio per questo motivo. Oppure, durante le ore di filosofia, i giovani birbanti distrarranno la professoressa Arcangelo dall’idea di fissare il compito in classe su Sigmund Freud proponendo di appisolarsi tutti quanti sopra i banchi, al fine di sperimentare la bontà de L’interpretazione dei sogni, opera dello stesso Freud, al risveglio.
Nel caso della professoressa Allori, insegnante di storia dell’arte, la fantasia dei membri della Terzaddì può trovare ristoro, essendo l’Allori persona estremamente eccentrica e fortemente predisposta alla pazzia. Sin dalla tarda adolescenza ella si è chiusa nel suo universo di opere d’arte, estraniandosi dal resto del mondo e trovando il pieno appagamento dei sensi soltanto nel rimirare affreschi rinascimentali, pitture impressionistiche e sculture neoclassiche. Per di più, l’Allori pare aver scelto il movimento dadaista come modello di vita, e si diverte a vestire in maniera eccentrica e a coniare nuovi creativi termini tecnici (tra i tanti spicca “pangeocromatico”, letteralmente: “che contiene in sé i colori di tutta la Terra”).
La stravagante professoressa interroga di rado e con scarsa severità (la prima e unica domanda che mi abbia posto è stata: -Dimmi, Silvia G, i famosi Bronzi di Riace li preferisci da davanti o da dietro?-, premurandosi poi di comunicarmi che lei li preferisce da dietro), ragion per cui generalmente gli alunni non sentono la necessità di ricorrere a espedienti originali per distrarre l’Allori, trovando invece le sue lezioni più che mai gradevoli e spassose.
Capitò tuttavia un giorno che anche la professoressa di storia dell’arte, oppressa dalla necessità di racimolare qualche voto sul suo registro prima degli scrutini di fine anno, decidesse di interrogare, mettendo in allarme tutti i membri della Terzaddì, i quali subito provvidero a correre ai ripari. Dopo che l’Allori ebbe arditamente pregato Giovanni T di descrivere lo splendido tondo della Madonna del Magnificat, nel quale Botticelli ritrae la Vergine e il Bambino circondati da cinque angeli, l’alunno cominciò: -Mirabili sono le capigliature di Maria e degli angeli attorno a lei. Per fare un esempio, osservando il secondo angelo a sinistra, noteremo che è riccio e biondo… o forse (mi sovviene ora) sarebbe più corretto dire riccia e bionda? Mi dica lei, professoressa: si tratta di figure maschili o femminili?
L’Allori, colta alla sprovvista, esitò perplessa; evidentemente mai s’era posta una simile domanda, prima di allora. Intervenne dunque l’alunno Ruggero F, buono e degno amico di Giovanni T:
-A parer mio, si tratta indubbiamente di maschi. Mai si è infatti sentito parlare di angelE, ma sempre e soltanto di angelI.
-Mi permetto di contraddirti!-, obbiettò Alberto I, -Indicando gli angeli esclusivamente al maschile si potrebbe intendere “genere angelico”, così come parlando di “uomini” si fa di solito riferimento al genere umano tutto, donne comprese.
-I tratti dei soggetti in questione-, continuò Giovanni T, -lasciano inoltre pochi dubbi: essi sono delicati, soavi, eterei. Tutte caratteristiche che meglio si associano al sesso femminile che a quello maschile.
-Si tratta di giovani di carnagione chiara-, proseguì risoluto Ruggero F, -comprenderete che l’aspetto efebico è giustificato!
La professoressa lasciava discorrere i suoi alunni, visibilmente confusa e altrettanto mortificata: in quanto insegnante di storia dell’arte avrebbe dovuto essere lei stessa a sciogliere i dubbi degli studenti; eppure, quella domanda la lasciava attonita e priva di argomentazioni.
-Io ritengo che siano maschi!-, esclamavano alcuni.
-E io invece penso che siano femmine!-, obbiettavano altri.
A risolvere definitivamente la disputa intervenne il sospirato suono della campanella, che col suo vivace trillare pose fine ad un’ora in cui, come spesso accade nei licei classici, si era vanamente discusso sul sesso[NdG: La commissione di vigilanza della Rai, ritenendo che un dibattito del genere avvantaggi smaccatamente i temi avallati dalla lista di Giuliano Ferrara, in ottemperanza alle vigenti norme della par condicio rimuove Silvia G dal suo quaderno e quindi il manoscritto termina qui.]

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