Non recensirò giammai L'uomo e il suo amore di Alcide Pierantozzi né tanto meno provvederò a leggerlo, nonostante mi incuriosiscano sia la trama sia la mole (cinquecento e rotte pagine), solo e soltanto perché è stato pubblicato da Rizzoli.
Pierantozzi ha 23 anni e la sola visione del suo libro sugli scaffali, anzi, la sola idea che sia stato pubblicato da Rizzoli è sufficiente a rendermi ingrata l'idea di essere nato scrittore, a farmi provare fastidio di fronte alla progressiva mole di libri che mi restano da leggere, e a privarmi del minimo piacere all'idea di poter tornare a scrivere un romanzo.
Se Pierantozzi risultasse più bravo di me, e il suo romanzo Rizzoli migliore del mio che da ottobre sto inutilmente tentando di piazzare a destra e a manca, evidentemente c'è da chiudere baracca e burattini perché io ho già dato il meglio di me e contro uno di cinque anni più giovane, con ulteriori margini di crescita, c'è ben poco da fare se non considerare che forse si è sbagliato qualcosa a dedicare la propria vita alla lettura e alla scrittura, a privarsi del minimo tempo libero necessario, a infognarsi a Pavia per studiare filosofia a tempo di record rischiando la disoccupazione perenne al solo scopo di non faticar troppo per dedicarsi a faccende più importanti nel mentre che mi laureavo.
Se Pierantozzi risultasse meno bravo di me, e il suo romanzo Rizzoli peggiore del mio che da ottobre sta venendo rifiutato da ogni dove, avrei la prova provata di essere stato ingenuo a sacrificare anni e salute ed equilibrio alla ricerca di uno stile progressivamente migliore quando invece sarebbe stato meglio imbastire arrampicate editoriali, e l'unico e ultimo pensiero consolatorio che potrebbe restarmi è che la giustizia non è di questo mondo, ma dell'altro, e si può solo sperare che faccia in fretta.
Nell'un caso c'è da spararsi, nell'altro da impiccarsi. Meglio fingere che non esista.
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