Riassunto della puntata precedente a beneficio degli acalcistici: domenica scorsa, alle tre del pomeriggio, l'Inter ospitava a San Siro il Siena, squadra mediocre e senza particolari pretese, battendo la quale avrebbe matematicamente vinto lo scudetto. Decine di migliaia di tifosi hanno affollato lo stadio mentre tutti gli altri interisti lombardi erano pronti a riversarsi in piazza Duomo per festeggiare. Unico dettaglio, unico fastidio, bisognava aspettare le cinque perché arrivasse la notizia che l'Inter aveva vinto, partita e campionato. L'Inter ha pareggiato.
A una decina di minuti dalla fine, sul 2-2, l'Inter beneficia di un rigore neanche troppo generoso, contrariamente all'andazzo: Riganò, attaccante del Siena temporaneamente in difesa, abbraccia con ardore Materazzi, difensore dell'Inter temporaneamente in attacco, e se lo trascina sul materasso verde in piena area. L'arbitro fischia. André Cruz, attaccante per contratto e rigorista designato, piglia la palla e si avvia verso il dischetto. Macché, arriva Materazzi e con sacra furia gli strappa il pallone dalle mani, respinge la legittima protesta di Cruz, si fa largo fra interisti e senesi parimenti increduli e posiziona la palla pronto a tirare. Se segna, Materazzi sa che l'Inter vincerà partita e scudetto. L'arbitro fischia. Materazzi sbaglia.
Saranno state le cinque meno venti, meno un quarto tutt'al più. Da allora è partito il dagli a Materazzi, dagli al bullo, dagli al presuntuoso, dagli all'uomo-che-ci-fa-perdere-lo-scudetto. L'allenatore l'ha sgridato, il presidente l'ha maledetto, la curva l'ha fischiato, i giornalisti non ne parliamo. Sarò l'unico in Italia ma io difendo Materazzi, per quattro motivi.
Primo, perché in una situazione delicata non è da tutti strappare il pallone dalle mani di chi di dovere e dire: "Lascia, tiro io". Il rigore, da che il calcio è stato inventato oltremanica, è il momento in cui la distinzione fra bravo e non bravo coincide e incarna quella fra coraggioso e pavido. A segnare un rigore son buoni tutti, a tirarlo mica tanto.
Secondo, perché non ha preso il pallone da primo che passava. Erano anni, era dal 2001 che Materazzi non sbagliava un rigore. Aveva ben ragione di credere che avrebbe segnato anche domenica. Se non ha segnato, è stato solo un caso.
Terzo, perché lo stesso identico Materazzi, con lo stesso identico coraggio un po' guascone, non più tardi di due anni fa ha fatto vincere il Mondiale all'Italia intera. Avremmo perso se, contro la Repubblica Ceca, avesse pensato che in fin dei conti non valesse la pena di andare in attacco sui calci d'angolo, e che tanto ci avrebbe pensato qualcun altro. Avremmo perso se contro l'Australia, per timore di venire espulso, non avesse fatto fallo sul tizio biondo che si avviava felice verso la nostra porta mal difesa. Avremmo perso se contro la Francia non avesse voluto rimediare in prima persona all'errore sesquipedale che lui stesso aveva commesso dieci minuti prima, avremmo perso se non avesse avuto coraggio, temerarietà e incoscienza sufficienti a tirare e segnare un rigore nottetempo. Per questo gli si deve perdonare un rigore sbagliato di pomeriggio.
Quarto, perché gli Italiani sono pecore mannare: se l'austroungarico portiere del Siena avesse deciso di tuffarsi dall'altra parte, se il rigore di Materazzi fosse finito in rete come tutti i suoi rigori negli ultimi sette anni, gli stessi che oggi gli danno del mentecatto lo starebbero candidando al Pallone d'Oro, vantandone coraggio e freddezza. Gli Italiani che oggi danno addosso a Materazzi sono gli stessi che non tirerebbero mai un rigore.
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