venerdì 4 luglio 2008

Rendere omaggio a Barthes

(Gurrado per Il Sottoscritto)

I miti d’oggi sono quattro in più di quelli di ieri. La traduzione a opera della sempre meritoria ISBN arriva con giustificabile anno di ritardo sul cinquantesimo anniversario dell’uscita delle Mythologies di Roland Barthes (1957), celebrata in Francia con la pubblicazione delle Nouvelles Mythologies a cura di Jérôme Garcin, sempre per i tipi di Seuil. Sulla copertina dell’originale ieri c’era un barocco macchinone Cirtoën, oggi una Smart rococò (tanto che il sottotitolo dell’edizione italiana ci marcia e recita: “da Barthes alla Smart”). L’indice di Barthes comprendeva cinquantatre miti, quello di Garcin cinquantasette: non c’è più lo strip-tease ma c’è lo speed-dating; non c’è il viso di Greta Garbo ma il corpo di Emmanuelle Béart; l’unica conferma è curiosamente quella dell’Abbé Pierre, di cui Roland Barthes indagava l’iconografia in vita e l’incaricato Patrick Poivre d’Arvor, più mestamente, la morte.

La sostanziale differenza fra ieri e oggi è costituita dal taglio interpretativo. Nel 1957 era Barthes in prima persona a raccogliere in volume gli scritti che aveva composto con una certa costanza (circa uno al mese) per i tre anni precedenti; nel 2007 Garcin si limita a raccogliere gli interventi dei contributori sparsi nei meandri vari dell’intelligentsia francese, da Jacques Attali a Catherine Millet, da Marc Augé a Paul Virilio, dalla dimenticabile romanziera sanguemisto Bessora a personaggi la cui fama in Italia può trarre solamente vantaggio da questi scritti d’occasione. Per questo i due libri non sono, in fin dei conti, comparabili. Barthes intendeva portare avanti un’ideologia coerente e unitaria, che teneva insieme i diversi e trascurabili pezzi di (post)modernariato eletti a mito utilizzando quale comun denominatore, scrive, “un sentimento d’impazienza di fronte alla naturalità che la stampa, l’arte e il buon senso affibbiano senza posa a una realtà, quella in cui stiamo vivendo adesso, che ciò nondimeno è perfettamente storica”. Garcin e i suoi danno vita a una ridda di voci discordi con la quale non si può monoliticamente concordare o meno, e nella quale non mancano riferimenti e sarcasmi incrociati, così che un articolo derida, poniamo, la corrente di pensiero alla quale s’iscrive in pompa magna l’autore che in un altro articolo deride qualcos’altro. Vizi da intellos, niente di nuovo sotto il sole. Nuovi Miti d’Oggi è un libro da treno, di quelli che si leggono per farsi compagnia e lasciarsi trasportare dalla chiacchiera, limitandosi ad appuntare qua e là le osservazioni interessanti e a storcere il naso di fronte ai luoghi comuni, senza darvi troppo peso.

Le considerazioni brillanti non mancano e spuntano quando meno le si aspetta. Attali ridefinisce la geografia dell’orario lavorativo (“un giorno... ci si accorgerà che la casa e la metropolitana sono luoghi di lavoro come gli altri”); Laurent Joffrin offre un perspicuo ragionamento attorno all’assestamento politico francese da Chirac a Sarkozy; Nicolas Baverez smonta la fobia dell’idraulico polacco, che costò il successo al referendum europeo del 2005, dimostrando come da secoli la Polonia sia un alleato storico al quale la Francia non può che rivolgere sentiti ringraziamenti.

Talune intuizioni invece sono folgoranti e vengono racchiuse in aforismi compendiosissimi quasi sempre in apertura o chiusura d’articolo. Claude Lanzmann lo fa oscuramente (“l’11 settembre è la litote estrema”), Jacques-Alain Miller immaginificamente (“Google è il ragno della rete”), Jacqueline Remy argomenta che “per trovarsi, le donne sono obbligate a perdersi”, Sophie Fontanel conclude: “non è triste che il Botox sia un mito moderno, no; quel che è sconsolante è che non funziona”.

La sintesi, necessaria in un volume di centocinquanta pagine che si proponga di affrontare oltre cinquanta argomenti differenti – o cinquanta sfaccettature del medesimo – diventa un po’ eccessiva quando l’autore incaricato preferisce non diffondersi oltre i 1800 caratteri, senza premurarsi di raggiungere il limite di decenza della singola cartella. Questo impedisce tanto una chiara esposizione del soggetto (sono infatti gli unici passi in cui Nuovi Miti d’Oggi sembri un vero libro di filosofia) quanto l’enucleazione di un concetto compiuto che vada al di là del senso comune. Rincresce notare come uno degli autori più stitici sia stato Marc Augé, magari proprio colui che avrebbe avuto più da dire.

Meglio la sintesi e il mutismo, comunque, che lo sdilinquimento per alcune idées reçues d’ordinanza, a cominciare da un certo femminismo e soprattutto ambientalismo d’accatto, che personalmente trovo un po’ deprimenti tanto nel contenuto quanto nella forma. Certe sentenze di Pascal Bruckner (“è paradossale che le donne, dopo aver conquistato l’indipendenza, si autorappresentino… come oggetti puramente erotici”) o di David Le Breton, che non trova di meglio da dire che il suv dà “costantemente e valorosamente il suo contributo alla crisi energetica e al surriscaldamento del pianeta”, puzzano di creatività intellettiva in crisi, costretta a inseguire invece che a far da guida – e Barthes avrebbe verosimilmente avuto molto da ridire. Queste cadute di stile sono per fortuna vendicate dal capolavoro assoluto di Jacqueline Remy, che in pagine due e mezza ha la destrezza di comporre un’enciclopedia della borsetta, dalla quale “spuntano oggetti come conigli dal cilindro: un telefono cellulare, una spazzola per capelli, un Palm, occhiali da sole, due penne, un blush seguito dal suo pennello, un mascara, un altro di ricambio, un lucidalabbra, una crema per le mani, un quaderno, un biglietto dell’autobus, tre giornali…”.

Jerôme Garcin gioca pulito e dichiara sin dall’introduzione che lo scopo di Nuovi Miti d’Oggi non è aggiornare Barthes ma rendergli omaggio, approfittandone per catalogare “il bazar del duemila”. Un catalogo è una mappatura e come tale può avere l’effetto di mostrarci in che direzione ci muoviamo nonché di fermarci in tempo. Nuovi Miti d’Oggi tuttavia è un’opera assolutamente francocentrica, che ha l’ardire di mettere sullo stesso piano simbolico l’11 settembre 2001 e il 21 aprile 2002 (e, se vi ricordate cos’è successo il 21 aprile 2002, vuol dire che siete Francesi anche voi): stante l’influsso che i cervelli di Francia hanno avuto e sempre avranno sui nostri, questo catalogo è anche un’occasione per mostrarci dove stanno andando gli intellettuali, con le loro fisime e i loro trucchetti, sapendo che non si riuscirà a fermarli mai.

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