
D’altra parte bisogna considerare che – per quel che concerne lo svolgimento delle gare – non fa estrema differenza che l’agone sia a Pechino o ad Atene o a Londra o a Campobasso (la situazione muta radicalmente solo nel caso di discipline che vedano la presenza determinante di giudici, come hanno dimostrato gli smaccati favori ad atleti cinesi nei tuffi, nella ginnastica e soprattutto nella ritmica, dove i fidanzati delle nostre signorinelle avrebbero fatto bene a utilizzare palla, cerchio e nastro per seviziare dapprima e dipoi impiccare i giurati, difendendo in un sol colpo l’onore della Patria e della donna, due cose indissolubilmente connesse che purtroppo nessuno fa più). Dal punto di vista geosportivo boicottare l’Olimpiade cinese non avrebbe avuto senso, se non quello di far perdere quattro anni di lavoro soprattutto ad atleti di discipline che di solito devono alla parentesi olimpica le loro due uniche settimane di gloria, se pure va bene. Per loro in realtà non conta tanto l’organizzatore contingente, quanto l’organizzazione generica e sovranazionale – ossia il Comitato Olimpico Internazionale. Il Cio, dal suo canto, mai come quest’anno ha confuso spirito olimpico e imbecillità, dapprima precipitandosi ciecamente verso un’Olimpiade erroneamente assegnata a una nazione che non aveva il minimo diritto di ospitarla; quindi tentando di escludere dalle competizioni, a mo’ di bue che dice cornuto al ciuccio, l’Iraq (punto esclamativo!) per ingerenza politica nelle manifestazioni sportive (ri-punto esclamativo!), cosa mai avvenuta nemmeno negli anni in cui Uday Hussein torturava gli atleti protagonisti di prestazioni deludenti (tri-punto esclamativo!); infine proibendo agli Spagnoli di indossare il lutto per la sciagura all’aeroporto di Madrid. Diciamo che Jacques Rogge ha voluto onorare i costumi del paese ospitante, e la sua civiltà. Durante i suoi discorsi d’apertura e chiusura, nessuno s’è levato per dirgli che stava facendo la figura del coglione.
Per questo motivo il momento più bello dell’Olimpiade, quello in cui ho provato uno spontaneo sollievo nell’animo, è stato ieri pomeriggio – quando sono risuonate le prime note di God Save the Queen e il nostro eroe Boris Johnson (sindaco conservatore di Londra del quale ho sempre parlato più che bene in tempi non sospetti, a giugno 2007 e a maggio di quest’anno) è arrivato giacca sbottonata e capelli al vento a riprendersi i cinque cerchi variopinti per riportarli su latitudini più civili, dove non a caso sono stati inventati e da dove sarebbe meglio non esportarli più di tanto.
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