(Gurrado per Il Sottoscritto)
La più grande sorpresa che Aleksandar Gatalica riserva al lettore è di fargli scoprire come all’atto di ultimare Secolo, e quindi nel 1998, avesse solamente 34 anni. La cosa è indubbiamente rimarchevole se si considera la non comune perizia narrativa necessaria a comporre un libro intimamente coerente e multiforme, formato da centouno racconti fulminei – di lunghezza variabile fra le tre e le sei pagine – che ripercorrono anno per anno la storia del XX secolo, dal 1900 (prologo) al 2000 (epilogo).
La vera sorpresa, tuttavia, risiede nello scoprire la giovinezza di Gatalica solo dopo aver letto per intero il libro, quando ci si è fatti persuasi che la voce narrante – mutevole nelle incarnazioni e uniforme nel tono – appartenga a un diretto testimone del Novecento, a qualcuno insomma che se lo sia visto sgranare davanti, in buona parte se non interamente. Un curioso esperimento, considerata la natura cronologica del testo, potrebbe essere cercare la pagina in cui inizia il racconto dedicato al 1964, anno di nascita dell’autore, e scoprire che per le precedenti duecentosessantotto pagine (su quattrocentoquindici) Gatalica s’è dedicato a una minuziosa descrizione di cose non viste.
La solidità dell’analisi temporale e l’accurata ricostruzione di un secolo per buona parte sfuggito agli occhi dell’autore sono giustificabili, credo, con l’idea che gli Slavi siano il popolo sul quale il Novecento ha lasciato il maggior numero di ferite, molte delle quali ancora lontane dal rimarginarsi. Per noi Italiani, sovente troppo presi dal tramestio delle contingenze, riesce difficile immaginare come uno sguardo gettato indietro di sbieco dalla fine di un’epoca possa riuscire a racchiudere in uno scorcio complessivo l’intero secolo precedente; a un figlio della sottile linea di confine fra Mitteleuropa e Mediterraneo, evidentemente, l’operazione riesce più naturale (se si cerca una conferma basti pensare alla barocca cavalcata di cinquant’anni compiuta da Emir Kusturica in Underground).
Agli occhi di un lettore appena imbevuto di cultura storica, il maggior pregio del testo di Gatalica è da cercarsi nell’indifferenza – appena appena accigliata – con la quale fornisce il resoconto delle molteplici storie secondarie che si accavallano lungo il Novecento; la medesima indifferenza, c’è da intuire, con la quale il tempo fluisce e travolge ogni cosa, incurante dei destini di individui e masse. Al riguardo è significativa – in tempi in cui la storiografia cerca di superare definitivamente la schiavitù nei confronti degli anni dalle cifre tonde – la scelta di delimitare il secolo con l’accetta, scegliendo come confini gli anni con lo zero (1900-2000) e contravvenendo al suggerimento di Hobsbawm riguardo al secolo breve (1914-1991), ormai assurto a suggestione collettiva.
Il testo di Gatalica resta però del tutto letterario, nonostante la rigida impostazione storica. La ridda di personaggi (all’incirca cinquecento) che si affolla nelle sue pagine si infila nelle pieghe più segrete del Novecento: non di rado i grandi avvenimenti vengono del tutto tralasciati o comunque presentati da un punto di vista radicalmente marginale. Ancor più frequente è la scelta di illustrare una storia capovolta, dove si fa labilissimo il confine fra realtà e fantasia, fra verità e finzione, con una vena surreale che va dritta al nucleo del problema sociologico che caratterizza un determinato anno (un po’ come i sogni più assurdi, talvolta, rivelano ciò a cui giorni interi di ragionamenti non riescono ad arrivare). Nell’impossibilità di citare tutti i racconti e nemmeno quelli che meriterebbero spazio in una futura antologia (sarebbero almeno una trentina), trovo splendidamente indicativi dello stile di Gatalica quello del1911, in cui Heinrich Mann torna da Venezia e scopre che il suo ignaro fratello ha scritto un resoconto letterario della sua vacanza, e quello brevissimo del 1970, in cui un giovanotto e una signorina s’innamorano dei manichini che rispettivamente li ritraggono.
Secolo è un gran libro, immaginifico e ambizioso. L’accuratezza storica di Gatalica è sorprendente, nel suo tentativo di fornire non un’enciclopedia ma un apocalittico inventario del secolo trascorso: esempio stupido ma calzante, il racconto del 1994 fa dettagliato riferimento a “Luna Park”, una trasmissione della Rai che fu effettivamente trasmessa quell’anno e che probabilmente è stata dimenticata anche dai suoi conduttori (Pippo Baudo, Mara Venier, Fabrizio Frizzi, Milly Carlucci e Rosanna Lambertucci, nientemeno). Proprio considerato il carattere paraenciclopedico del volume, è un peccato che ci sia qua e là qualche imprecisione (Samuel Beckett che perde una t, un fantomatico film con Marylin Monroe che s’intitola Sette anni di fedeltà e che plausibilmente è The seven year itch, ossia Quando la moglie è in vacanza), ragionevolmente ascrivibile alla traduzione italiana e pertanto facilmente emendabile.
Gli antenati letterari di Gatalica sono facilmente riscontrabili: lui stesso fa reiterato riferimento a Thomas Mann per taluni contenuti (la riflessione sul male eterno nell’uomo, ad esempio), ma non è difficile scorgere fra le sue righe più di qualcosa di Borges e Canetti. E inoltre sarebbe bene che il coraggioso editore Diabasis, oltre a tradurre qualcun altro dei libri di Gatalica citati in seconda di copertina, trovasse modo di ripescare l’ormai introvabile Dizionario Cazaro di Milorad Pavic – un testo mitico, enciclopedico, complesso e sfuggente del quale Secolo è discendente diretto.
La più grande sorpresa che Aleksandar Gatalica riserva al lettore è di fargli scoprire come all’atto di ultimare Secolo, e quindi nel 1998, avesse solamente 34 anni. La cosa è indubbiamente rimarchevole se si considera la non comune perizia narrativa necessaria a comporre un libro intimamente coerente e multiforme, formato da centouno racconti fulminei – di lunghezza variabile fra le tre e le sei pagine – che ripercorrono anno per anno la storia del XX secolo, dal 1900 (prologo) al 2000 (epilogo).
La vera sorpresa, tuttavia, risiede nello scoprire la giovinezza di Gatalica solo dopo aver letto per intero il libro, quando ci si è fatti persuasi che la voce narrante – mutevole nelle incarnazioni e uniforme nel tono – appartenga a un diretto testimone del Novecento, a qualcuno insomma che se lo sia visto sgranare davanti, in buona parte se non interamente. Un curioso esperimento, considerata la natura cronologica del testo, potrebbe essere cercare la pagina in cui inizia il racconto dedicato al 1964, anno di nascita dell’autore, e scoprire che per le precedenti duecentosessantotto pagine (su quattrocentoquindici) Gatalica s’è dedicato a una minuziosa descrizione di cose non viste.
La solidità dell’analisi temporale e l’accurata ricostruzione di un secolo per buona parte sfuggito agli occhi dell’autore sono giustificabili, credo, con l’idea che gli Slavi siano il popolo sul quale il Novecento ha lasciato il maggior numero di ferite, molte delle quali ancora lontane dal rimarginarsi. Per noi Italiani, sovente troppo presi dal tramestio delle contingenze, riesce difficile immaginare come uno sguardo gettato indietro di sbieco dalla fine di un’epoca possa riuscire a racchiudere in uno scorcio complessivo l’intero secolo precedente; a un figlio della sottile linea di confine fra Mitteleuropa e Mediterraneo, evidentemente, l’operazione riesce più naturale (se si cerca una conferma basti pensare alla barocca cavalcata di cinquant’anni compiuta da Emir Kusturica in Underground).
Agli occhi di un lettore appena imbevuto di cultura storica, il maggior pregio del testo di Gatalica è da cercarsi nell’indifferenza – appena appena accigliata – con la quale fornisce il resoconto delle molteplici storie secondarie che si accavallano lungo il Novecento; la medesima indifferenza, c’è da intuire, con la quale il tempo fluisce e travolge ogni cosa, incurante dei destini di individui e masse. Al riguardo è significativa – in tempi in cui la storiografia cerca di superare definitivamente la schiavitù nei confronti degli anni dalle cifre tonde – la scelta di delimitare il secolo con l’accetta, scegliendo come confini gli anni con lo zero (1900-2000) e contravvenendo al suggerimento di Hobsbawm riguardo al secolo breve (1914-1991), ormai assurto a suggestione collettiva.
Il testo di Gatalica resta però del tutto letterario, nonostante la rigida impostazione storica. La ridda di personaggi (all’incirca cinquecento) che si affolla nelle sue pagine si infila nelle pieghe più segrete del Novecento: non di rado i grandi avvenimenti vengono del tutto tralasciati o comunque presentati da un punto di vista radicalmente marginale. Ancor più frequente è la scelta di illustrare una storia capovolta, dove si fa labilissimo il confine fra realtà e fantasia, fra verità e finzione, con una vena surreale che va dritta al nucleo del problema sociologico che caratterizza un determinato anno (un po’ come i sogni più assurdi, talvolta, rivelano ciò a cui giorni interi di ragionamenti non riescono ad arrivare). Nell’impossibilità di citare tutti i racconti e nemmeno quelli che meriterebbero spazio in una futura antologia (sarebbero almeno una trentina), trovo splendidamente indicativi dello stile di Gatalica quello del
Secolo è un gran libro, immaginifico e ambizioso. L’accuratezza storica di Gatalica è sorprendente, nel suo tentativo di fornire non un’enciclopedia ma un apocalittico inventario del secolo trascorso: esempio stupido ma calzante, il racconto del 1994 fa dettagliato riferimento a “Luna Park”, una trasmissione della Rai che fu effettivamente trasmessa quell’anno e che probabilmente è stata dimenticata anche dai suoi conduttori (Pippo Baudo, Mara Venier, Fabrizio Frizzi, Milly Carlucci e Rosanna Lambertucci, nientemeno). Proprio considerato il carattere paraenciclopedico del volume, è un peccato che ci sia qua e là qualche imprecisione (Samuel Beckett che perde una t, un fantomatico film con Marylin Monroe che s’intitola Sette anni di fedeltà e che plausibilmente è The seven year itch, ossia Quando la moglie è in vacanza), ragionevolmente ascrivibile alla traduzione italiana e pertanto facilmente emendabile.
Gli antenati letterari di Gatalica sono facilmente riscontrabili: lui stesso fa reiterato riferimento a Thomas Mann per taluni contenuti (la riflessione sul male eterno nell’uomo, ad esempio), ma non è difficile scorgere fra le sue righe più di qualcosa di Borges e Canetti. E inoltre sarebbe bene che il coraggioso editore Diabasis, oltre a tradurre qualcun altro dei libri di Gatalica citati in seconda di copertina, trovasse modo di ripescare l’ormai introvabile Dizionario Cazaro di Milorad Pavic – un testo mitico, enciclopedico, complesso e sfuggente del quale Secolo è discendente diretto.
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