Il gregario dell’omonimo esordio di Paolo Mascheri non ha nome. Da dati contingenti - come l’ambientazione ad Arezzo e l’età del protagonista - si potrebbe evincere una sostanziale identità con l’autore, se non altro per quel che concerne i dati anagrafici; ma presumo che queste coincidenze siano piuttosto rivelatrici di una linea poetica più generale. Non avendo nome e venendo dunque designato con una generica terza persona singolare (esattamente come accade per l’Everyman di Philip Roth, anche se ovviamente parliamo di due contesti ben differenti), il gregario può essere identificato sostanzialmente con chiunque, all’interno di una data generazione e una data cerchia sociale; l’evenienza che Paolo Mascheri gli abbia prestato la propria città e la propria data di nascita ha senso solo perché il gregario doveva avere una determinata età e doveva vivere in un determinato posto.
L’attacco del romanzo è indicativo al riguardo. Mascheri delinea in poche righe particolarmente understated la vita intera del gregario sulla base di asciutte coordinate sociali. Senza bisogno di girare la prima pagina, il lettore sa già quanti anni ha il gregario, quali studi ha compiuto, che lavoro fa, quanto guadagna, dove va in vacanza e che macchina guida. Questo ritratto appena abbozzato è più che sufficiente a delineare un uomo indubbiamente più fortunato della media dei suoi coetanei: ha un posto fisso nella farmacia del padre, guadagna 2000 euro al mese, gira in Bmw e può permettersi due vacanze l’anno. Ha pure l’abbonamento a Sky, e ovviamente una fidanzata borghese, con altrettanto posto fisso, non trascendentale ma se non altro sessualmente volenterosa. A questo punto, volendo, il romanzo potrebbe concludersi con la notazione che l’anonimo gregario è ragionevolmente felice, e che ne ha ben donde.
Questo ovviamente non accade. Innanzitutto perché Mascheri lascia cadere - sempre nella prima pagina, già all’inizio del quarto capoverso - il primo punto di domanda del suo romanzo quasi totalmente enunciativo, dove le frasi interrogative sorgono di tanto in tanto a increspare il ritmo del nudo resoconto di dati di fatto. La prima domanda suona appunto: “Si considera felice?”. Questo dubbio, saggiamente appena insufflato dal narratore, lievita progressivamente fino a diventare l’impalcatura stessa del romanzo.
Il gregario, va specificato, non ha nulla a che fare col ciclismo. Resta sottintesa tuttavia, agli occhi di chiunque abbia un minimo di perizia sulla bicicletta, la differenza fondamentale fra il gregario e il campione: entrambi pedalano sulle stesse strade, entrambi hanno il compito di andare in fuga, ma non condividono gli obiettivi finali. Il campione va in fuga per vincere; il gregario attacca per far vincere il campione. Il campione sa, in gergo, far saltare la corsa: se si trova in una situazione di difficoltà, può tentare di lasciare il gruppo all’inizio del percorso, quando nessuno se l’aspetta, e se anche non dovesse vincere riesce comunque a creare scompiglio, a far muovere i pezzi grossi, a dare un senso alla corsa intera. Il gregario che va in fuga all’inizio del percorso fa la stessa fatica del campione, ma sa che sotto l’impulso dei suoi polpacci la corsa non salterà mai né si creerà scompiglio alcuno: il gruppo lo lascerà fare, magari fino a fargli raggiungere un vantaggio considerevole che poi, pian pianino, eroderà senza far mostra di darsene troppo pensiero, fino a raggiungerlo e piantarlo lì, superandolo a velocità doppia.
La fuga del gregario di Paolo Mascheri è solitaria e disperata: decide di mettersi in proprio, molla la fidanzata, tenta di scuotere il giogo che lo mantiene indissolubilmente legato al (piuttosto ingombrante) padre. Va a donne e bene o male riesce a comprare l’affetto di una nightclubber ucraina; tenta di ripescare la passione artistica che aveva sepolto in favore della farmacia. Come tutte le fughe dei gregari, c’è un momento in cui sembra che le cose girino per il verso giusto e che questa volta, eccezionalmente, la fuga andrà in porto. Invece è inesorabile il rinvenire del gruppo - nel quale spiccano il padre imponente, la madre ipocrita, la fidanzata piagnucolosa - che senza batter ciglio fagocita il gregario prima che possa vedere il traguardo e lo lascia peggio di come stava prima, con nelle gambe il peso e la frustrazione dell’ineluttabile fallimento.
La prosa di Paolo Mascheri è sorprendentemente funzionale a questo tipo di narrativa. Come ho anticipato, abbonda di verbi senza soggetto, o con soggetto seccamente pronominale. Le frasi sono per lo più descrittive di dati di fatto, con l’inserzione di dubitativi che fanno muovere la trama concordemente con l’avvicendarsi dei tornanti interiori del gregario. Il tempo verbale è un presente continuo, che contribuisce a generalizzare la storia del gregario (quando invece un passato remoto l’avrebbe storicizzata, determinando maggiormente l’univocità dell’ambientazione), e che rende perfettamente l’idea del succedersi di giornate monotone e vacue tutte alla stessa maniera. Come in molta narrativa giovane italiana, c’è qualche dubbio sull’iniziale di Dio, che è minuscola a pagina 39 e maiuscola a pagina 124; forse a indicare la vana tensione verso l’alto di un uomo assolutamente medio che aspira a qualcosa di sovrumano ma passa la domenica (Mascheri lo specifica implicitamente) nel culto di sé stesso, senza andare in chiesa. La politica fa capolino qua e là, trattando il romanzo di farmacie e quindi di un tema caldo come le privatizzazioni: l’equanimità del gregario nel giudicare Storace e Bersani parimenti loschi demagoghi indica probabilmente la fuga dall’impegno politico foss’anche a livello concettuale, l’incapacità di riconoscersi in una classe sociale prima ancora che in una fazione.
Se vogliamo trovare un padre nobile per l’esordio di Mascheri, indubbiamente bisogna risalire a La Noia di Moravia, il cui protagonista condivideva col gregario un’incapacità atavica a porsi in diretta relazione con gli oggetti che lo circondavano, e tanto meno con le persone: viene detto esplicitamente che al sesso, immediato e problematico, il gregario preferisce la pornografia, mediata e governabile a colpi di telecomando. Il mondo gira, il gruppo pedala, il gregario non può far altro che veder muoversi il ciglio della strada e tentare pigramente di salvare il salvabile. Dettaglio chiave, talmente incidentale che rischia di perdersi nelle pieghe del romanzo benché fondamentale: il gregario ha 28 anni, la stessa età che aveva suo padre quando lui era nato. Una generazione produce, si arricchisce, genera e incombe sulla generazione successiva; che a sua volta tenta di produrre, si impoverisce, resta sterile e viene divorata dalla generazione precedente, come in un mito eterno.
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