Il nuovo romanzo di Gaetano Cappelli si legge d’un fiato; cosa che nel suo caso non costituisce precisamente una novità ma serve a rimarcare il principale e sempre lodevole merito dell’autore, sin dai tempi di Parenti Lontani: aver restituito anche in Italia alta dignità letteraria al pageturner. A voler fare critica letteraria nonché politica editoriale col machete, il principale motivo per cui a quasi dieci anni di distanza Parenti Lontani è tornato in libreria, edito da Marsilio tanto in edizione economica quanto in hardback, è proprio la sua estrema fruibilità ossia, vulgo, l’irresistibile impulso di girare una pagina dietro l’altra per scoprire come va a finire.
Sembrerebbe quasi che la prosa di Cappelli sia istintivamente romanzesca, e che lo porti a includere automaticamente nei suoi capoversi i principali ingredienti tradizionali del romanzo (a partire dal XVIII secolo, sia chiaro): ossia le complicazioni dell’intreccio, l’occultamento artificioso di alcuni fondamentali aspetti caratteriali dei personaggi e la promessa di ulteriori e repentini sviluppi. Rese monumentali in Parenti Lontani, queste caratteristiche tecnico-narrative sono rimaste immutate anche nelle opere di più breve respiro del secondo Cappelli, per intenderci quelle che a partire dal 2005 sono state pubblicate da Marsilio: Il Primo, quindi
Si potrebbe ragionevolmente obiettare che i tre principali ingredienti della narrativa di Cappelli sono bene o male quelli della narrativa tout court, e che risultano palesi specialmente nella narrativa di bassa lega o, se non altro, di scarse pretese artistiche. Obiezione respinta perché in Cappelli i tre stadi del procedimento narrativo (complicazione, occultamento e previsione) sono evidentemente dei doni che usa con estrema naturalezza e non, come spesso accade nella letteratura di genere, il frutto di un’applicazione reiterata e ottusa, da catena di montaggio.
La vedova, il Santo e il segreto del Pacchero estremo, oltre a confermare la recente predilezione di Cappelli per i titoli alla Lina Wertmuller, seppur fra le righe prende di petto il rapporto fra Cappelli e la tecnica narrativa, o meglio l’idea stessa di romanzo; ed è su questo che preferirei soffermarmi piuttosto che sulla trama (troppo pirotecnica per essere spiegata senza castrarla) o sulla gradevolezza della lettura (che ritengo conclamata per tutti i possibili strati di pubblico).
Rispetto a Il Primo (2005) e alla Storia Controversa (2007),
Tanti capitoli favoriscono indubbiamente l’introduzione di tanti personaggi, grazie al frequente utilizzo del flashback o di più sofisticate tecniche narrative volte a dimostrare l’onnipotenza del narratore onnisciente – e, nel caso specifico di Cappelli, il talento dell’autore. Il mio precedente riferimento al XVIII secolo non era casuale poiché, poste le debite distanze, la scansione in capitoli per cui ha optato Cappelli coincide grossomodo con quella del Tristram Shandy di Sterne, il nonno un po’ pazzo di tutti i romanzi godibili di oggi.
Rispetto ai suoi due tentativi precedenti, ne
Come sempre l’utilizzo che fa Cappelli della lingua merita una menzion d’onore. Se è risaputo che nei suoi precedenti romanzi la fusione di Italiano colto e di dialetto potentino (o dei dintorni) gli riusciva alla perfezione, e altrettanto perfettamente gli riesce ora, ne
Più in generale, Cappelli spicca per la giustapposizione carnevalesca di un registro alto e di uno infimo, che per quanto sopra le righe non risulta mai fastidiosa all’occhio del lettore (anzi all’orecchio – visto che i dialoghi di Cappelli sembrano piuttosto fabbricati per essere letti ad alta voce), divertendolo oltremodo, intrattenendolo man mano che la trama si fa più e più intrigante, e impiantando così una notevole qualità letteraria sulla struttura base del pageturner. Se dovessi infine indicare due soli motivi fra i tanti per cui vale la pena di leggere
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.