venerdì 5 dicembre 2008

Letterine letterarie (12)

Illustre Gurrado,
ti scrivo questa mail visibilmente posticcia e farlocca per sapere come reagiresti a un'eventuale mail di, poniamo, Giuseppe Genna il quale, lungi dall'adombrarsi per una stroncatura da parte tua o altrui, pur riconoscendo la tua ricchezza di riferimenti letterari ti rimproveri con gentilezza il fatto che proprio questi medesimi riferimenti ti consentirebbero di non prendere in giro né il testo né l'autore, come invece hai fatto, di non travisare il perno del suo romanzo ritenendolo 19 pagine del tutto incomprensibili illeggibili e inutili, di dichiararti a priori edotto riguardo a quanto l'autore in generale (e Genna in particolare) sappia o non sappia: costituendo tutto ciò il limite critico e teorico di una recensione che infine risulta più ideologica che scientifica e che prevede un giudizio incentrato non già sul linguaggio di Italia De Profundis bensì su temi delicatissimi e prevalentemente politici. Come reagiresti dunque?
G.

Illustre Gurrado,
ferma restando l'evenienza che una mail del genere mi parrebbe più creazione letteraria che effettiva corrispondenza (ma d'altronde la corrispondenza non è che un genere letterario, e tutte le lettere che scrivevamo ieri e tutte le mail che scriviamo oggi sono un'indegna imitazione di un romanzo epistolare teorico e infinito) - penso che inizierei ringraziando Genna per la pronta lettura e la non comune educazione della sua risposta, permettendomi tuttavia di contestare la sua notazione riguardo al fatto che io presuma di sapere tutto quello che l'autore (in generale più che in particolare) abbia inserito o meno nel suo libro. Io penso infatti che il ruolo del recensore sia quello di parlare all'ipotetico lettore che non ha avuto per le mani il libro e di interpretare a suo beneficio le intenzioni dell'autore. Per fare questo ho a disposizione la geometria di un libro, ossia la sua scansione in parti e/o capitoli, e le parole stesse dell'autore. Gli farei notare che i primi capoversi della recensione a Italia De Profundis, in cui cerco di spiegare al lettore la ragion d'essere del suo romanzo, sono basati esclusivamente sulla perimetrazione del testo e su due citazioni portanti che a mio avviso spiegano la compresenza dei due piani narrativi (individuale e collettivo) nel suo romanzo. Sottolinerei come l'io-lettore emerga soltanto a partire dal quarto capoverso, col tentativo di risalire alle fonti letterarie; e come anche qui io mi sia basato su dati di fatto (benché, non avendo qui con me a disposizione una biblioteca decente, abbia dovuto lavorare esclusivamente di memoria). Insisterei su come dalla ricerca delle fonti, e dall'estrapolazione delle "quattro storie di merda", prenda spunto il mio tentativo di proporre al lettore un'interpretazione plausibile del nocciolo del volume; essendo quello di Genna un romanzo molto complicato (cosa che, sia chiaro, costituisce un merito), la questione risale a monte e si concentra soprattutto sullo stabilire quale sia il nocciolo del volume. Ovviamente io a quel punto non sto dicendo che l'autore Genna ha indicato la seconda parte di Italia De Profundis come parte più importante del suo romanzo; sto dicendo al lettore che, invece di farsi prendere dallo sconforto di fronte alle celebri 19 pagine (qualora non volesse saltarle) e lanciare il volume contro il muro, può confidare nel ritrovamento di un collante narrativo che tenga insieme le diverse (e non prive di fascino) pulsioni del romanzo con l'arrivo della seconda parte. A questo punto, azzarderei un ulteriore passaggio logico: nel momento in cui mi trovo davanti un romanzo ideologico (nel senso non deteriore del termine) deve necessariamente diventare ideologica (idem come sopra) anche la mia recensione. Devo prendere il lettore per la collottola e tuffargli il naso nei contenuti, cosa che personalmente detesto e cerco di fare il meno possibile quando si tratta di letteratura (poi, fuori dalla letteratura, ho le mie idee e plausibilmente io e Genna non andiamo d'accordo, ma ciò non vuol dire). Proprio perché abitualmente mi trovo a disagio nell'analisi contenutistica mostrerei che infine ho preferito tornare in conclusione sulla lingua, evidenziando una parola-spia; quel "negro" che - gli direi in tutta sincerità - mi ha fatto sobbalzare quando ho scoperto che scandalizzava tanto il Genna protagonista quanto il Genna autore. Il "qualcosa non funziona" finale è appunto basato su un parametro tecnico dichiarato, l'utilizzo di un segno grafico per isolare dal contesto una singola parola colpevole: proprio quest'improvvisa asimmetria fra il tremendismo delle trecento pagine precedenti e l'eccesso di politically correct (peraltro su una parola che una trentina d'anni fa, prima che iniziasse la degenerazione patria che Genna stesso lamenta, non avrebbe scandalizzato nessuno) incrina a mio avviso la riuscita del libro, fa subodorare la forzatura qua e là. Insomma lamenterei che io non tento altro che mediare fra lettore e autore, cercando di immedesimarmi in entrambi e di spiegare all'uno le istanze dell'altro. Lo scongiurerei di tener presente due attenuanti: che non mi legge praticamente nessuno, nemmeno lui, anche perché faccio recensioni troppo lunghe e complicate; e che gli eventuali lettori sarebbero quasi sempre più d'accordo con lui che con me.

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