giovedì 4 dicembre 2008

Pippo mesto

Dovete sapere che io sono un accanito sostenitore delle interivste a Pippo Baudo: le cerco, le leggo, le rileggo, le medito, le diffondo e sono per lo più concorde sui loro contenuti. Ad esempio l'altro giorno ero particolarmente d'accordo con quanto detto da Baudo nella sua intervista al CorSera, ove si augurava (forse in termini un po' nazisti, benché efficaci) (d'altra parte nessuno può negare che i nazisti siano stati efficaci) una rieducazione del pubblico. Rieducazione a cosa? Al bello, sosteneva, facendo il raffronto (indubbiamente interessato ma sicuramente efficace e in tal caso per nulla nazista) fra certi programmi generalisti della tv privata e il suo altrettanto generalista Serata d'Onore sulla tv pubblica. Io Serata d'Onore non l'ho visto giammai, ma so che a Baudo bisogna riconoscere almeno due pregi, à savoir:
- una non comune capacità di tenere le fila della trasmissione, che talvolta sconfina nel voler condurre anche le trasmissioni altrui in cui va ospite;
- un continuo tentativo di rendere fruibile al pubblico un valore estetico magari facile e consolatorio ma pur sempre ordinato e per certi versi educativo.

Di là dagli infiniti Sanremi, Fantastici e Domeniche In, Baudo ha fatto almeno due ottime trasmissioni utili a creare una minima e decente coscienza comune in tutti i teleutenti italiani (che è, gratta gratta, il motivo per cui si paga il canone): Uno su Cento molti anni fa su Rai1 e Novecento nel 2002 su Rai3. In entrambi i casi si trattava di un tentativo di recupero della storia recente d'Italia, doppiamente filtrato attraverso gli archivi Rai e il rimodernato passaggio televisivo (con annessi quiz, giochini, circenses e quant'altro fosse necessario ad affezionare il pubblico della prima serata). Per questo credo alla sua sostanziale sincerità quando auspica la creazione, anzi la preservazione di un senso estetico nei telespettatori.

Che Baudo soffra di manie di grandezza (d'altronde è alto) è risaputo agli occhi di chiunque abbia visto anche soltanto il suo lontano cameo ne I Promessi Sposi del Trio Marchesini-Solenghi-Lopez. Questo spiega il suo riferimento diretto con annessa lamentela (e magari identificazione nel personaggio) al dato di fatto che come Serata d'Onore anche la recentissima fiction su Paolo VI sia stata seguita da un numero di spettatori infimo ma largamente sufficiente a giustificare ancor oggi il perfido nomignolo di "Paolo Mesto" affidato al Papa quand'era ancora vivo e operante.

Cinque milioni di spettatori, per una fiction fatta con tutti i crismi e lanciata con gran rullio di tamburi nella prima serata domenicale di Rai1, non sono praticamente nulla. Mi hanno ricordato i "quattro gatti" fotografati da Pasolini in una Via Crucis al Colosseo, nel 1973 mi pare e comunque in pieno regno dello stesso Paolo VI. Evidentemente non è un Papa che smuove le folle. Evidentemente non è stata sufficiente la campagna pubblicitaria con annessa polemica pseudovaticana riguardo all'interpretazione eccessivamente politica della figura del Santo Padre (volta sostanzialmente a dare a intendere che egli fosse stato una vacca magra dedita esclusivamente alla cementazione del centrosinistra italiano, coi risultati che sappiamo) o peggio ancora riguardo all'apparizione incongrua del nipote brigatista, personaggio inventato che può sì comparire in una fiction nel vero senso della parola ma che andrebbe espunto dalle cosiddette fiction storiche italiane, le quali visto il loro ammirevole intento educativo e la loro impostazione documentaristica rientrano piuttosto nella categoria della narrativa nota come nonfiction.

Io stesso non l'ho vista; l'ho persa quand'è stata trasmessa e poi ho cercato di rivederla via internet ma sugli archivi di Raiclick al momento è possibile vedere solo la fiction su Giovanni Paolo I (oltre che tutte le puntate di Ho Sposato uno Sbirro). Se invece di vederla avessi dovuto girarla, la mia fiction su Paolo VI sarebbe iniziata con un'inquadratura sulla porta santa del Giubileo del 1975, chiusa, che stava per essere aperta dal variopinto Pontefice nella notte di Natale; e avrei mostrato, con una prima scena muta, la porta che si apre rivelando la sagoma smagata di Paolo VI sulla spalla del quale cade crudele un po' di stucco.

Non ci sarebbe stata miglior immagine, credo, per mostrare oggi la tragedia di un uomo che ha via via visto traditi nei fatti gli ideali nei quali credeva quand'era a capo degli Universitari Cattolici, assistendo impotente ma sempre più rigido alla degenerazione dei costumi giovanili, all'aborto, al divorzio, al progressivo fraintendimento del Concilio Vaticano II, alla guerra in Vietnam, all'uccisione di Aldo Moro. Tutto questo l'avrei mostrato come se Paolo VI, ancora sporco di stucco, se lo fosse trovato davanti in visione una volta aperta la porta santa giubilare.
E avrei concluso con il recupero pressoché integrale dell'antica omelia con la quale, destando una certa sorpresa ancor oggi, lo stesso uomo esile e cerebrale con la poca voce che aveva implorava disperato tutti i fedeli a voler bene al Papa. E, per estensione, anche a Pippo Baudo.

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