martedì 13 gennaio 2009

Scribi e farisei 2008

(Gurrado per Books Brothers)

Il libro migliore del 2008? Scoprilo attraverso l'appassionante torneo a eliminazione diretta giocato nella testa di Antonio Gurrado. (Maurizio Cotrona)

Dovete sapere che il 21 giugno 1996, era venerdì, inaugurai l’estate prendendo un foglio A4, tagliandolo a metà e scrivendoci in alto a sinistra la data e poi, dopo un piccolo spazio bianco: Franco Cassano, Il pensiero meridiano – libro dal quale oggidì posso dire di aver ritenuto un’unica informazione, e cioè che Albert Camus soleva giocare in porta. Avevo quindici anni, sei mesi e dodici giorni.

Lo spazio bianco serviva a segnare la data in cui avrei finito il libro medesimo; dopo di che, nella riga successiva, altra data d’inizio, altro spazio bianco per la data di fine, altro autore e altro titolo. Trattandosi in questo caso di un libro straniero, c’era spazio sufficiente per inserire fra parentesi il titolo originale. E poi un altro, e poi un altro ancora: fra una cosa e l’altra, nei dodici anni e mezzo intercorsi, l’elenco si è allungato oltremodo e i fogli del genere sono diventati ventisei. Con un titolo dietro l’altro, eternato in questa maniera, ho un’immediata traduzione grafica della mole di roba che ho letto, nonché il vantaggio di saper associare a ogni evento una data precisa per mezzo di un libro – esempio pratico: ricordo che mentre leggevo le prime pagine Notizie dal Paradiso di David Lodge ci fu a Gravina una lieve scossa di terremoto; la data non la ricordo nemmeno a pagamento; in compenso l’elenco testimonia che ho letto Notizie dal Paradiso fra il 7 e l’8 gennaio del 2006, ragion per cui la scossa doveva essere necessariamente il 7, visto che i libri si leggono dall’inizio alla fine e non viceversa. Va specificato che alcuni di questi libri ricordo di averli letti solo quando ritrovo il loro titolo in inchiostro blu o nero nel fittissimo elenco conservato in una guida dello studente al corso di laurea in Psicologia (né, pur applicandomi, mi viene in mente miglior utilizzo per una guida dello studente al corso di laurea in Psicologia). Forse è un bene perché nulla si crea e nulla si distrugge, forse è un male perché vengono rimossi solamente i libri traumatici.

Quest’elenco mi consente anzitutto di sapere ogni anno quanti libri ho letto e, poiché bene o male il numero complessivo di pagine si pareggia per la legge dei grandi numeri, di sapere quanto sono stato ossessionato o quanto sono stato lavativo; o per invigilare me stesso, come direbbe Benedetto Croce buonanima. Per dire, nel 2008 ho letto 115 libri, che non è male in confronto al 2007, in cui ne avevo letti solo 102 (in ambo i casi meno di dieci al mese, se ci pensate non sono tanti), ma è vergognoso in confronto ai 144 letti (dodici al mese esatti) nel 2006. Da lettore professionista, sento di dovere delle scuse: evidentemente nella prima metà dell’anno pativo l’onda lunga della stanchezza dell’anno precedente, ho creduto che la lettura fosse roba da dilettanti affrontabile a cuor leggero e sono rimasto punito per la mia hybris; dopo di che, complici quindici giorni di vacanza assoluta dai libri, sono tornato più forte e più superbo che pria riassestandomi sui ritmi che mi erano consoni e che promettevo dai tempi del liceo, quando misi per la prima volta mano all’elenco che oggi compulso consuntivamente. I numeri confermano: fino all’ultima settimana di luglio, quando sono andato in vacanza, l’elenco conta 52 titoli; dalla seconda settimana di agosto, quando sono tornato un po’ più riposato di prima, ho accumulato i restanti 63. Con evidente sproporzione, ad agosto ne ho letti (Gesù!) 22. È stata la rincorsa per un’intensa fine dell’anno, culminata nei 13 libri di dicembre.

La grande novità del 2008 è stata che ho iniziato a rileggere. Prima lo evitavo (salvo casi eccezionali) credendo che la cultura si espandesse in superficie e che bisognasse assaggiare tutto una volta sola per poter misurare il proprio sapere. Come molti esseri umani, sono stato un po’ scemo. Invece con l’età che avanza, accompagnata spero dalla maturità, e con la memoria che altrettanto traballa, verso la fine del 2007 mi è diventato evidente che in particolare i libri che avevano segnato la mia giovinezza richiedevano, a dieci anni esatti dalla maturità, una nuova mano di vernice. Perché esistono due tipi di lettori: i ritentivi, che subiscono ogni libro assorbendone i dettagli, e gli espressivi, che accordano la propria mente alle parole che leggono e viceversa, di fatto partecipando al processo creativo dell’autore che hanno per le mani e mentalmente riscrivendo il tutto, alle volte peggio, qualche volta uguale, non di rado meglio.

Io cerco di essere entrambi questi lettori contemporaneamente, e vi assicuro che non si tratta di una facile convivenza. Finisce così che un libro letto dieci, cinque o tre anni fa, e per così dire passato in giudicato, ha al contempo da dire le stesse cose e cose nuove: le stesse, ovvero mille dettagli sbiaditi da ricordare; nuove, ovvero la stessa plastilina verbale da plasmare diversamente con la creatività di una mente che, nel frattempo, ci si augura sia cresciuta. Per questo il mio 2008 è iniziato rileggendo a Capodanno I lauri senza fronde di Edouard Dujardin, ed è finito a San Silvestro rileggendo Don Camillo e i giovani d’oggi di Guareschi. Nel complesso ne ho riletti 32: quasi tutto Guareschi appunto, perché il centenario non passasse invano, e soprattutto Pirandello (L’Esclusa, Il Turno, Serafino Gubbio, Mattia Pascal e L’umorismo), Virginia Woolf (Orlando, La signora Dalloway), Berto (Il male oscuro, La cosa buffa) e Joyce (Gente di Dublino, Dedalus, l’ardimentosa traduzione italiana dei primi capitoli di Finnegans Wake). Ma anche Il Fuoco di d’Annunzio, Jean Santeuil di Proust, i Racconti di Svevo, l’Oscar Wilde di Philippe Jullian, il Lamento di Portnoy, Le undicimila verghe, Il candelaio: la cosa più bella è che per nessuno ho dovuto pentirmi dell’antica passione, che è sempre ovunque stata rinfocolata e mi ha fatto bene e mi ha reso felice di non essere ancora cieco.

L’elenco benedetto mi consente anche di fare ogni anno un giochino. Ho una fisima per la quale non sta bene mettere in competizione i libri in base all’anno in cui sono stati pubblicati: ciò presume che uno li abbia letti tutti, e sovente non ne vale la pena, ma soprattutto li riduce al rango di periodici che scadono l’anno appresso. A me piace giocare coi libri dividendoli in base all’anno in cui li leggo, ossia in cui il caso o un preordinato e avventuroso percorso di lettura lascia che io li scopra cammin facendo. Ogni anno scorro l’elenco e scelgo per ogni mese il libro che mi richiama più farfalle nello stomaco alla rilettura del titolo; quindi procedo a gruppi di tre eleggendo il miglior libro di ogni stagione; dopo di che semifinali e finale come nella Confederations Cup. È il mio personalissimo Premio Gurrado, monoteista e insindacabile dove non si vince niente se non la mia stessa eterna gratitudine: ed è per questo che i più felici di riceverlo sono gli autori morti. Vince il libro che svetta su tutti gli altri e che in qualche modo caratterizza il segno di tutte le letture dell’anno: nel 2004 Horcynus Orca (Stefano D’Arrigo), nel 2005 La versione di Barney (Mordecai Richler), nel 2006 Espiazione (Ian McEwan) e nel 2007 La vita agra di Luciano Bianciardi (in finale su Rebecca, la prima moglie).

Escludendo ovviamente le trentadue riletture che sono hors catégorie e hanno il vantaggio dell’affetto profondo e radicato negli anni, restano in concorso 83 libri di genere vario, per lo più romanzi. Gennaio ad esempio è vissuto di riletture e quindi passa quasi automaticamente Belinda Starling con La rilegatrice di libri proibiti, intenso ma un po’ forzato. A febbraio un vincitore d’antan, per esacerbare la mia colpevolezza nel non averlo già letto prima: Gog di Giovanni Papini. Marzo è stato un mese di grandi novità e ancor più grandi delusioni (L’estate del cane nero di Carofiglio junior e ancor più Fuoco amico di Abraham B. Yehoshua); almeno Agnes Browne mamma, di Brendan O’Carroll, non aveva grandi pretese in partenza e quindi non poteva sconfessarle, mantenendosi su un moderato divertimento costante. Aprile peggio che andar di notte, è stato salvato solo dalle riletture. Giusto perché ci sono state le elezioni faccio passare il turno ad Alberto Mellone con Cara Bombo…Berlusconi spiegato a mia figlia.

A maggio, come conferma dell’intrinseca ingiustizia del mio metodo di selezione, c’è uno scontro fra titani: Nessuna notizia di Gurb, di Eduardo Mendoza, è uno dei libri più divertenti che io abbia mai letto, e far ridere è la cosa più difficile che ci sia su quello che Beckett soleva chiamare “l’escremento sublunare”. Le Parole in libertà di Angelo Fortunato Formiggini mi solleticano esattamente sull’insana passione che nutro per Modena e tutto ciò che ne deriva, o per la Ghirlandina e tutto ciò che ne cade. Anime alla deriva è l’esordio di Richard Mason che all’epoca aveva vent’anni, vedete un po’ voi. Tuttavia maggio è stato il mese di Maschio Adulto Solitario, di Cosimo Argentina, letto sul treno da Pavia a Trento, o meglio sui tre treni da Pavia a Trento, che per poco non mi faceva continuare fino all’orrendo Brennero e oltre per non staccarmi dalle sue pagine. Menzion d’onore per tutti, ma passa Argentina.

Magari ci fossero simili problemi d’abbondanza per giugno, dove sono abbondati invece solo i romanzi sfilacciati (Indecision di Benjamin Kunkel, Manuale del debuttante russo di Gary Shteyngart); in compenso è stato il mese de Le stanze illuminate, sempre di Richard Mason, che è forse il romanzo più architettonicamente compiuto che sia uscito in Italia nel 2008, un prodotto maturo sconvolgente per la giovine età dell’autore e a voler esagerare una sorta di disseppellimento di Henry James, che come intuirete non è malaccio. A luglio ho letto praticamente solo il secondo volume dell’Antimeridiano che raccoglie tutti gli scritti giornalistici di Bianciardi; e anche ad avere il tempo di leggere altro qualsiasi cosa sarebbe impallidita al confronto. Ad agosto, di tutti, entusiasmo soprattutto per Il giro del mondo in 80 giorni; a settembre sensazionale la riscoperta, in lingua originale, della finezza narrativa sulla breve distanza in The Garden Party di Katherine Mansfield. A ottobre, nonostante l’ottimo ripescaggio de I fratelli Cuccoli di Aldo Palazzeschi, buona parte del tempo e del cervello se n’è andata con Infinite Jest di David Foster Wallace, buonanima pure lui. A novembre, e anche qui mi vergogno di non averlo letto prima (negli anni intendo, non nei mesi), Il migliore di Bernard Malamud. Dicembre infine ha molti pretendenti (Oblio, sempre di Wallace, Verderame del sempre ottimo Michele Mari) e altrettante delusioni (il noiosetto Gerald Durrell, l’imbarazzante Diario di scuola di Pennac); ma nessuno mi ha dato il piacere quasi fisico dell’immedesimazione (con un laburista rockettaro, poi!) come Febbre a 90° di Nick Hornby.

Questi dunque sono i dodici. La selezione per stagione dovrebbe essere molto più crudele, ma il livello relativamente basso dei contendenti facilita non poco. In inverno, Gog primeggia facilmente sulla pur buona accoppiata Neri Pozza fra la Starling e O’Carroll. In estate Bianciardi si mangia Giulio Verne e Katherine Mansfield in un boccone e mezzo. In autunno, nulla (nemmeno lo scanzonato e appassionato Hornby, nemmeno lo storico e magistrale Malamud) può competere con Infinite Jest. Il vero derby è per la primavera, fra Maschio Adulto Solitario e Le stanze illuminate: due romanzi opposti ma entrambi profondissimi, scritti alla perfezione (benché non ci sia, credo, nemmeno un lemma in comune fra l’afrikaaner e il tarentino), peraltro da amici (non fra loro ma con me, e ne sono fiero in entrambi i casi perché gli autori sono persone anzitutto) e sopra ogni cosa due romanzi che segnano un punto di non ritorno nella linea narrativa sia di Argentina sia di Mason. Vorrei farli pareggiare ma non posso. Forse in MAS lo sviluppo stilistico di Argentina è compiuto, anche per l’età un po’ più avanzata, mentre Le stanze illuminate sembra soprattutto promettere il raggiungimento della perfezione col prossimo romanzo di Mason, che saggiamente ne pubblica uno ogni quattro anni. Ancora una volta passa Argentina.

Le semifinali sono squilibrate: Gog appassisce di fronte a MAS, il Bianciardone paga la discontinuità della sua formula antologica (e quindi delle sue 1938 pagine) a fronte della monumentale unitarietà delle sole 1434 di David Foster Wallace. E in finale, Argentina mi ammazzerà – perché MAS è indubbiamente il miglior romanzo italiano che ho letto quest’anno, il miglior romanzo italiano pubblicato quest’anno, il miglior romanzo che potesse scrivere Argentina (mica è facile, gli scrittori scolpiscono per levare e, partendo dal foglio bianco o dallo schermo muto, raramente riescono a tirar fuori il meglio che si portano dentro) nonché il miglior romanzo che avrei voluto scrivere anch’io. Ma Infinite Jest è l’indefinito e potenzialmente inesauribile sviluppo di una frasetta di San Tommaso d’Aquino, ove dice che “ad pulchritudinem tria requiruntur: integritas, consonantia et claritas”. La bellezza di Infinite Jest è assoluta perché solidamente integra, calibrata nel dettaglio e splendida splendente. (Per questo, parafrasando Cuore di Cuoio, quello di Argentina è un secondo posto onorevole, direi).

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