(Giovenale, Satira XIV)
Se ne saranno accorti solo i più attenti di voi, i più fissati, i più maniacali: oggi è iniziato il Torneo di Viareggio. Il quale in realtà si chiama ormai Viareggio Cup (in omaggio alle varie Tim Cup, Uefa Challenge Cup, Dio Solo Sa Cup) ma ha saggiamente conservato il sottotitolo che lo rende tanto celebre quanto amabile: Coppa Carnevale.
È una piccola bizzarria del nostro calcio, infatti, questo torneo coloratissimo e folle con dieci gironi da quattro squadre giovanili ciascuna, equamente ripartite fra blasone patrio (le solite), commovente provincia (il Novara, il Pisa,la Cisco Roma ) e recessi esotici (il Leichhardt, il Midtjylland, il New York), su campi che in buona parte non hanno mai visto una partita di Serie A, ma nemmeno di B, forse neanche di C. A dirla così sembra un assurdo, ma sarà quest’aprioristica implausibilità che conferisce alle due settimane di torneo (da oggi fino al 23 febbraio) il tipico andamento sorridente, quasi ariostesco nello spostare la sua attenzione da un campo all’altro su e giù per la Toscana. È un Carnevale, non una carnevalata.
Tanto per dire: il campionato primavera (ormai Primavera Tim) è iniziato nel 1962; il Torneo di Viareggio nel 1949. Vinse il Milan, e il Milan riaffiora qua e là nell’albo d’oro per otto volte complessive, l’ultima nel 2001. C’è ovviamente tanta Juventus, con le tre vittorie di fila dal 2003 al 2005, e un po’ meno Inter, che è ciò nondimeno detentrice del trofeo: ma se, come ormai pare inevitabile a più alti livelli, la lotta fosse limitata alle tre grandissime il torneo perderebbe nove decimi del suo fascino. A scorrere l’albo d’oro, invece, si nota parecchia Sampdoria, il Lanerossi Vicenza, tantissima Fiorentina e il sempre ottimo Torino; ma anche Cesena, Atalanta, Brescia, Bari, Empoli, Genoa. Fra le straniere, va notato il dominio del Dukla Praga, che dal 1964 al 1980 vinse sei edizioni, e che è stata l’ultima non italiana a vincere prima degli uruguagi della Juventud, tre anni fa.
Trofeo sghembo, di accostamenti arditi, anche quest’annola Coppa Carnevale si fa paladina di un internazionalismo onnicomprensivo e più che democratico. I fortunati che vivono in Toscana, e non lavorano alle tre del pomeriggio, potranno vedere il Maccabi Haifa che gioca a Quarrata, l’Independiente Santa Fe a Empoli, il Pakhtakor alla Sciorba, lo Spartak Mosca a Montemurlo, il Nacional Asunción a Serrazzano. Questo, signori, solo oggi. Domani c’è l’Anderlecht a Cogoleto.
Si dirà: va bene, ma tutti questi Anderlecht, Spartak Mosca e Independiente, con annessi Milan e Inter Juventus Bari Genoa, sono squadre giovanili e niente più, il calcio vero è ben altro – anzi, il calcio vero è altrove. Balle. Innanzitutto perché sui campi di Viareggio e dintorni ho visto con questi miei occhi un giovanissimo Roberto Mancini, con la maglia del Bologna, Cravero col Torino, Del Piero col Padova e poi conla Juventus. Ogni anno mi viene voglia di ritrovare su vecchi giornali le foto delle squadre vincitrici e riconoscere a colpo d’occhio quelli diventati famosi, quelli diventati fondamentali, o quelli che – come a scuola – avrebbero potuto fare di più se si fossero applicati.
Soprattutto, il Torneo di Viareggio va oltre le squadre giovanili perché è una vetrina internazionale che, per due settimane, mette in mano a dei ragazzini la difesa dell’onore della propria maglia di fronte a mezzo mondo pallonaro. In quel momento il Milan, lo Spartak Mosca, il Dukla Praga sono quei ragazzini lì: e da tempo vado sostenendo che nelle due settimane di Viareggio andrebbero sospesi i campionati professionistici, come durante le Olimpiadi.
Prima ho guardato cinque minuti di Inter-Queen’s Park Rangers, la partita inaugurale, e il portiere dell’Inter era un fuscello che se qualcuno gli dà un ceffone si ritrova le narici al posto delle orecchie. Eppure indossava la maglia dei grandi, e questo solo gli conferiva un quarto di nobiltà, un che di invulnerabilità, quasi. Quando mi destreggio fra questo e quello riuscendo a piazzarmi davanti alla tv per guardare un po’ di Viareggio, torno a gustare il calcio delle maglie, in cui non conta la faccia ma cosa c’è sul petto – e, in uno slancio di retorica sanvalentinistica, anche nel cuore.
Ma se ne saranno accorti solo i più attenti di voi, i più fissati, i più maniacali. Un tempo il Viareggio andava in onda su Rai 3. Poi è stata la volta di Rai Sport, ora di Rapi Sport Più, l’anno prossimo chissà – forse di Rai Sport Quasi. Per sapere il risultato finale di Inter-QPR, a trasmissione spenta, ho dovuto fare i salti mortali. Per dire, la pagina calcistica della Gazzetta al momento parla di, nell’ordine: Costacurta che abbandona il Mantova per Martina Colombari, Adriano e Ronaldinho che vogliono giocare contro l’Italia, l’attacco di Gussoni a Mourinho, il quasi record di vittorie casalinghe del Palermo, la tripletta di Totti con Ilary (!), De Rossi punto da un pappataci, la guida turistica di Brema per la trasferta del Milan, la cena di San Valentino di David Beckham e costosissima signora, la cronaca del posticipo di ieri sera, la cronaca della Roma di ieri pomeriggio. Nessuna traccia della partita di oggi. Il sito del Torneo di Viareggio, alla voce Inter-QPR, riporta “in programma alle 15:00”. Sono le 18:32. Un sito sportivo, a metà della ripresa, riportava un risultato diverso da quello che avevo visto in diretta televisiva.
E invece il Viareggio andrebbe fatto vedere a tutti, proiettato in diretta durante i turni di scuola pomeridiani, per far capire che il calcio non è un reality impazzito. Il calcio consta di ventidue ragazzi che inseguono un pallone, con la maglia che sognano di indossare un giorno, sapendo che è difficile riuscirci. Per questo amo il Viareggio, apoteosi del possibile, Champions League della speranza.
È una piccola bizzarria del nostro calcio, infatti, questo torneo coloratissimo e folle con dieci gironi da quattro squadre giovanili ciascuna, equamente ripartite fra blasone patrio (le solite), commovente provincia (il Novara, il Pisa,
Tanto per dire: il campionato primavera (ormai Primavera Tim) è iniziato nel 1962; il Torneo di Viareggio nel 1949. Vinse il Milan, e il Milan riaffiora qua e là nell’albo d’oro per otto volte complessive, l’ultima nel 2001. C’è ovviamente tanta Juventus, con le tre vittorie di fila dal 2003 al 2005, e un po’ meno Inter, che è ciò nondimeno detentrice del trofeo: ma se, come ormai pare inevitabile a più alti livelli, la lotta fosse limitata alle tre grandissime il torneo perderebbe nove decimi del suo fascino. A scorrere l’albo d’oro, invece, si nota parecchia Sampdoria, il Lanerossi Vicenza, tantissima Fiorentina e il sempre ottimo Torino; ma anche Cesena, Atalanta, Brescia, Bari, Empoli, Genoa. Fra le straniere, va notato il dominio del Dukla Praga, che dal 1964 al 1980 vinse sei edizioni, e che è stata l’ultima non italiana a vincere prima degli uruguagi della Juventud, tre anni fa.
Trofeo sghembo, di accostamenti arditi, anche quest’anno
Si dirà: va bene, ma tutti questi Anderlecht, Spartak Mosca e Independiente, con annessi Milan e Inter Juventus Bari Genoa, sono squadre giovanili e niente più, il calcio vero è ben altro – anzi, il calcio vero è altrove. Balle. Innanzitutto perché sui campi di Viareggio e dintorni ho visto con questi miei occhi un giovanissimo Roberto Mancini, con la maglia del Bologna, Cravero col Torino, Del Piero col Padova e poi con
Soprattutto, il Torneo di Viareggio va oltre le squadre giovanili perché è una vetrina internazionale che, per due settimane, mette in mano a dei ragazzini la difesa dell’onore della propria maglia di fronte a mezzo mondo pallonaro. In quel momento il Milan, lo Spartak Mosca, il Dukla Praga sono quei ragazzini lì: e da tempo vado sostenendo che nelle due settimane di Viareggio andrebbero sospesi i campionati professionistici, come durante le Olimpiadi.
Prima ho guardato cinque minuti di Inter-Queen’s Park Rangers, la partita inaugurale, e il portiere dell’Inter era un fuscello che se qualcuno gli dà un ceffone si ritrova le narici al posto delle orecchie. Eppure indossava la maglia dei grandi, e questo solo gli conferiva un quarto di nobiltà, un che di invulnerabilità, quasi. Quando mi destreggio fra questo e quello riuscendo a piazzarmi davanti alla tv per guardare un po’ di Viareggio, torno a gustare il calcio delle maglie, in cui non conta la faccia ma cosa c’è sul petto – e, in uno slancio di retorica sanvalentinistica, anche nel cuore.
Ma se ne saranno accorti solo i più attenti di voi, i più fissati, i più maniacali. Un tempo il Viareggio andava in onda su Rai 3. Poi è stata la volta di Rai Sport, ora di Rapi Sport Più, l’anno prossimo chissà – forse di Rai Sport Quasi. Per sapere il risultato finale di Inter-QPR, a trasmissione spenta, ho dovuto fare i salti mortali. Per dire, la pagina calcistica della Gazzetta al momento parla di, nell’ordine: Costacurta che abbandona il Mantova per Martina Colombari, Adriano e Ronaldinho che vogliono giocare contro l’Italia, l’attacco di Gussoni a Mourinho, il quasi record di vittorie casalinghe del Palermo, la tripletta di Totti con Ilary (!), De Rossi punto da un pappataci, la guida turistica di Brema per la trasferta del Milan, la cena di San Valentino di David Beckham e costosissima signora, la cronaca del posticipo di ieri sera, la cronaca della Roma di ieri pomeriggio. Nessuna traccia della partita di oggi. Il sito del Torneo di Viareggio, alla voce Inter-QPR, riporta “in programma alle 15:00”. Sono le 18:32. Un sito sportivo, a metà della ripresa, riportava un risultato diverso da quello che avevo visto in diretta televisiva.
E invece il Viareggio andrebbe fatto vedere a tutti, proiettato in diretta durante i turni di scuola pomeridiani, per far capire che il calcio non è un reality impazzito. Il calcio consta di ventidue ragazzi che inseguono un pallone, con la maglia che sognano di indossare un giorno, sapendo che è difficile riuscirci. Per questo amo il Viareggio, apoteosi del possibile, Champions League della speranza.
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