Allo stesso modo deve procedere coi piedi di piombo anche l’altra metà dell’emiciclo. L’uscita de La destra nuova – che raccoglie nove saggi sui modelli politici francesi, britannici e svedesi inaugurando la collaborazione fra la fondazione finiana FareFuturo e l’editore Marsilio – è stata quasi contemporanea al duplice congresso che ha portato, nel giro di due weekend, allo scioglimento di An e alla nascita del Pdl. Pare però che si sia trattato di una fortuita coincidenza. Gli stessi curatori Campi e Mellone lo spiegano nell’introduzione, specificando come ai loro due libri di analisi berlusconiana (L’ombra lunga di Napoleone, Campi; Cara Bombo, Mellone) farà seguito un terzo esplicitamente focalizzato sulla fusione di An e Forza Italia con conseguente ricerca, necessariamente travagliata, di un’identità comune dall’interno. L’analisi estera de La destra nuova si colloca dunque su un piano parallelo e non intende fornire modelli precotti per il neonato Pdl; si limita a presentare i dati di fatto relativi a due esperienze di governo diversissime fra loro (Francia e Svezia) e una di opposizione pressoché trionfale ma potenzialmente pericolosissima (Gran Bretagna). Per usare i termini di Immanuel Kant, non parlano del “dover essere” ma del “come è”.
L’esperienza più interessante per noialtri è senz’altro quella francese. Oltre alla vicinanza geografica, Francia e Italia hanno una classe intellettuale tradizionalmente progressista e una classe media che si scopre sempre meno lassista. Inoltre, in entrambi i casi la compagine di destra arriva da recenti e consistenti esperienze di governo: l’era Chirac per Sarkozy e Berlusconi I, II e III per Berlusconi IV. In entrambi i casi i due leader hanno vinto le elezioni puntando su un personalismo esasperato (ma, è innegabile, può puntare sul personalismo solo chi ha personalità) e soprattutto proponendosi come novità e punti di svolta; cosa non completamente vera né per Sarkozy, che era ministro sotto Chirac, né per Berlusconi, già reduce da esperienze di governo in alcuni casi piuttosto logoranti. Le ragioni del successo di Berlusconi sono piuttosto evidenti. Le 40 pagine che La destra nuova dedica alla Francia servono a penetrare nel dettaglio dell’operazione neo-neo-gollista di Sarkozy, e soprattutto a capire come questi sia riuscito nel vaste programme a voltare in suo favore, uno a uno, tutti i suoi punti di debolezza.
La parte più consistente del volumetto è dedicata alla Gran Bretagna ed è magistrale. In particolare è utile il primo dei tre saggi, di Luigi Di Gregorio, che serve a sfatare numerosi luoghi comuni sulla politica britannica. Alcune scoperte sono scioccanti. Credete che Londra sia la capitale del bipartitismo? Balle, in Parlamento sono rappresentati tredici partiti, ivi inclusi i Democratic Unionists, Sinn Féin, Plaid Cymru e Kidderminster Hospital (quanto meno non sono stati eletti membri del Monster Rave Meeting Party). In Italia sono la metà – non avrei mai pensato di poterlo scrivere. Sapete qual è il partito che ha il miglior trend? I Liberal Democrats, se non che sono così mal distribuiti sul territorio che col sistema maggioritario guadagnano un seggio ogni centomila voti. Alle elezioni vinte dai Laburisti, quale è stato il partito più votato in Inghilterra? I Conservatori. I sondaggi che danno David Cameron in netto vantaggio percentuale su Gordon Brown sono rassicuranti? Macchè, per ottenere più seggi i Conservatori devono sperare in circostanze piuttosto inusuali.
Cosa insegna questo pregevole libretto, a voler leggerlo fra le righe? Innanzitutto che ogni esperienza nazionale fa storia a sé, e che la globalizzazione del pensiero politico è ancora molto più in là di quello che si crede. Basta mezz’ora in Inghilterra per capire che un elettore dei Conservatori non voterebbe Berlusconi e che un elettore di Berlusconi non saprebbe chi votare. Poi, che un vento di cambiamento sta spirando in tutti i partiti, quale che ne sia la collocazione geografica e politica: Campi & Mellone illustrano questo minimo comun denominatore nella “volontà di lasciarsi alle spalle quel culto sentimentale del passato e della tradizione, quell’enfasi retorica in materia di patriottismo e religione, quelle rigidità ideologiche e quei pregiudizi mentali in materia di immigrazione, diritti civili o politiche economiche”. Infine che non bisogna farsi prendere troppo la mano. Bisogna sempre tener presente la reazione di un anziano militante alla notizia che nei progetti di David Cameron c’era la definizione di un New Conservatism: “Se siamo Conservatori, come facciamo a essere nuovi?”.
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