giovedì 21 maggio 2009

La mia lunga intimità

(Gurrado per Il Sottoscritto)

C’è dunque questo film in cui Sean Connery interpreta un vecchio scrittore che ha abbracciato la saggia decisione di non pubblicare più niente e di non vedere più nessuno. Ci riesce finché non gli s’intrufola in casa un giovanotto dei sobborghi, il quale putacaso nutre una passionaccia per la scrittura: tanto dice e tanto fa che alla fine Sean Connery acconsente ad accoglierlo ogni giorno e a leggere gli infiniti quaderni che il giovanotto ha riempito di abbozzi narrativi. Nella scena più bella del film, del quale mi piacerebbe tanto ricordare ancora il titolo, il ragazzino riapre i suoi quaderni e li trova pieni delle note a margine del vecchio scrittore, e la domanda più acuta e ricorrente è quella che ogni lettore esplicitamente o implicitamente si pone di fronte a ogni romanzo: “Dove mi stai portando?”

Pertanto: dove mi stai portando, Covacich? Mi permetto di darti del tu anche se non abbiamo il piacere di conoscerci perché nelle quasi trecento pagine di Prima di sparire racconti tanti di quei fatti tuoi da tramortirmi quasi, e da darmi l’impressione di una lunga intimità. C’è tua madre, c’è tua nonna, tua moglie e la tua – si può dire? – nuova fidanzata, ci sono i dubbi fra le due possibili vite, gli sms cancellati, i mezzucci per portarti da Trieste a Roma. E tutti chiamati per nome di battesimo, anche gli amici, anche i personaggi celebri: è un effetto di trompe l’oeil che porta il lettore avveduto a partire per la tangente e cercare di decorare il romanzo con brandelli di cognizioni cronachistiche che restano sottintese. Toh, c’è un vecchio scrittore che si chiama Dudù; toh, c’è un regista che si chiama Piergiorgio; c’è un altro scrittore che si chiama Christian, chissà se sua sorella si chiama Veronica. E ci sono tonnellate di segreti imbarazzanti, di confidenze non richieste, di nomi che io stesso non riscrivo per naturale ritegno a impicciarmi delle vite altrui. Dove mi stai portando?

Sarò malizioso ma ho l’impressione che tutto ciò sia un fuoco di sbarramento destinato a selezionare il livello dei lettori. Si sa che le case editrici da anni proclamano che il pubblico vuole storie, preferibilmente vere, e colgono al balzo l’opportunità di gettargli in pasto la vita privata dell’autore, specie se raccontata da lui consenziente. Tu l’hai fatto. Uno compra Prima di sparire nella consapevolezza che prima aveva solo una vaga idea di chi sei, come persona intendo, e trecento pagine dopo ne saprà più del tuo psicanalista o confessore o commercialista. Bella forza, direi, a questo punto va a finire che chiunque racconti i fatti propri è degno di venire pubblicato, dall’Einaudi magari, e viene meno ogni distinzione fra autore e pubblico: tutti lettori, tutti scrittori.

Devo riconoscere che il romanzo è avvincente e forse io stesso mi sono lasciato trascinare dall’istinto voyeuristico di sapere se lasci la moglie per la fidanzata. L’ho letto a mezzanotte, l’ho letto alle sette del mattino, ho dovuto trattenermi a viva forza dal leggerlo in ufficio: l’istinto spione si sa che è debole e facilmente accalappiabile. Volevo sapere dove mi stavi portando. Ora che invece sono passati un po’ di giorni, mi sono reso conto che i punti di forza del romanzo, intendo le pagine che restano fisse nell’antologia della memoria, sono due tirate metanarrative: quella in cui racconti della nottataccia in stazione bloccato da una bufera di neve, a parlare di poesia con una tua ex allieva, e quella in cui il protagonista del romanzo che stai scrivendo da sei anni trova un cagnolino su una panchina e sfida mezza Budapest per portarlo in salvo. E non è poco perché si tratta di due tirate lunghe, che mantengono un ritmo costante ed elevato, forse godendo della tua esperienza di ex maratoneta. Sono le tirate ai limiti della sofferenza di cui forse ho sentito la mancanza quando ho letto Fiona, il tuo romanzo precedente.

Per questa tua indubbia capacità tecnica intuisco che la scelta di mettere in vetrina i fatti tuoi fosse un artificio per distinguere le due categorie di lettori: chi dà un’occhiata, passa e va, da chi invece si ferma e vuole entrare a vedere cosa c’è dietro. Dietro ci sono le pagine del tuo romanzo incompiuto che usi come specchio e intermezzo della principale linea narrativa: lì mi accorgo di trovare un Dario Rensich che è la proiezione narrativa di te stesso, ex maratoneta diventato artista, il quale ha sposato una donna che ha il tuo nome voltato al femminile, Maura, la quale si sottopone a infinite sessioni erotiche, estenuanti quasi quanto i viaggi in treno da Trieste a Milano Porta Genova, col bombarolo protagonista di Fiona. Covacich, a me puoi dirlo, non barare: la seconda di copertina cerca di spacciare il tuo romanzo come vera verità – “la sfida impudica di dire io”, recita – o meglio come peep show della tua storia intima, della tua vita privata, e invece la realtà è senz’altro più complessa e stratiforme. Come minimo stai controbilanciando la situazione esterna, piena di mogli fidanzate Piergiorgi e Dudù, con una situazione interna altrettanto sfaccettata, dove le personalità si accavallano nel tentativo di uscire dal tuo intimo e diventare parole su carta. Il protagonista che dice “io” non è più te di quanto non lo sia, che so, questa Maura che accoglie alternativamente le tue due metà proiettate, l’ex maratoneta e l’ex bombarolo. C’è più te stesso dentro le pagine che sorvolano sui fatti tuoi e che magari il lettore superficiale, abbagliato dalla vetrina, ha saltato perché voleva sapere quante volte sei andato a letto con chi. Era qui che volevi portarmi?

Invece l’unica punta di delusione mi arriva dall’ultima pagina, la prima dopo la fine del romanzo, intitolata “Coi nostri nomi”. Fortunatamente è scritta in piccolo e magari qualcuno la salterà; così non saprà mai con quanta forza asserisci che “questi fatti esistono, queste persone esistono, io esisto”. Non vale, dovevi lasciarmi nell’illusione. Avresti dovuto fare come Boris Vian, assicurare che “questa storia è vera perché me la sono inventata da cima a fondo”. Allora il tuo romanzo più bello sarebbe stato mozzafiato.

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