Ultima venne la notte: siccome domani ho in programma la visita ospedaliera che si spera risolutiva e definitiva, nel corso della quale dovrebbero liberarmi dal gesso (che poi è una fasciatura rigida) senza nemmeno controllarmi ai raggi X tanto sono sicuri dei miei mezzi deambulatori; siccome da domani a quest'ora starò di nuovo non dico liberamente camminando ma quanto meno gioendo della liberazione di questo stivale virtuale che da quaranta giorni mi zavorra; siccome potrò forse finalmente riprendere a posare entrambi i piedi a terra, smettendo di sentirmi una gru, e magari pian pianino provare ad arrivare chissà dove facendo aggio sulle stampelle ormai tramutate in bastoni (o, se nevica, in racchette da sci di fondo); siccome tutto questo, l'ultima notte si preannunzia insonne sin d'ora, il gesso pesa dieci quintali di più e da giorni ormai l'impazienza cede il passo allo sconforto. Uno fa così tanto affidamento sulla convinzione che il malumore sia dovuto all'ingessatura - o alla necessità di saltellare sulla gamba sinistra, di lavarsi sommariamente e in comode rate con grandi acrobazie, o di lavarsi i denti in cucina o di calare la pasta inginocchiando la gamba offesa su una sedia posta all'uopo di fronte al lavabo - da temere poi fondatamente che al ritorno alla vita su due piedi l'insopportabilità del risveglio resterà immutata.
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