lunedì 7 marzo 2011
Fratel paracetamolo, mi sa che non ci siamo capiti. Io sabato mi sveglio, il raffreddore è passato, il tempo è accettabile, posso perfino mettere il naso fuori di casa; allora smetto di assumerti e vado a lavorare alla Bodleian library approfittandone poi per un caffè in libreria. Fratel paracetamolo, io non ti assumevo da giorni due quando, mentre leggevo il dorsetto letterario del Guardian, nel bar della libreria si affaccia l’arcivescovo di Canterbury; il quale sulle prime io credo essere un sosia, tant’è vero che penso: “Guarda quello come somiglia all’arcivescovo di Canterbury”; tanto che, se non fosse stato vestito come un anonimo passante, non avrei mai pensato trattarsi di un sacerdote anglicano. L’arcivescovo o presunto tale non prende il caffè ma va a esplorare la sezione di storia sassone, dimostrando così di essere per davvero l’arcivescovo di Canterbury per due motivi preclari: bisogna essere come minimo arcivescovi di Canterbury per nutrire un vivo interesse nei libri di storia sassone; se non si fosse trattato dell’arcivescovo di Canterbury, tutti i clienti e commessi della libreria non l’avrebbero ostentatamente ignorato, rifuggendone lo sguardo e cambiando strada ad angolo retto quando se lo ritrovavano davanti. Gli inglesi, fatel parecetamolo, ritengono ineducato far notare che riconoscono una celebrità; se per strada non ti guarda più nessuno, puoi star sicuro di essere diventato famoso. Alla fine me lo sono ritrovato davanti io, dal lato opposto di un banchetto di offerte tre per due; e ci siamo perfino guardati negli occhi (segno che lui non mi aveva riconosciuto) mentre io, fugato ogni residuo dubbio sulla sua identità, mi chiedevo come avrei dovuto chiamarlo nell’inverosimile caso in cui ci fossimo rivolti la parola: per quanto egli sostenga di essere l’arcivescovo di Canterbury, e per quanto la totalità dei suoi connazionali lo riconosca come tale ovvero finga di non riconoscerlo affatto, io non appartengo alla chiesa d’Inghilterra e di conseguenza il mio arcivescovo di riferimento non è lui (Rowan Williams, simile a un Babbo Natale appena uscito da un frullatore) ma il cattolico Vincent Nichols, già vescovo in partibus infidelium di Birmingham e Oxford; di conseguenza non avrei potuto chiamarlo “arcivescovo” senza montargli indebitamente la testa. Un compromesso ragionevole sarebbe stato chiamarlo Dr Williams, visto che è dottore di ricerca, ma a patto che lui mi chiamasse Dr Gurrado, visto che sono dottore di ricerca pure io; non avrei saputo tuttavia come comunicargli che lo sono, visto che non vado in giro col diploma appeso al collo, e per sua fortuna l’arcivescovo si è tolto dall’imbarazzo di non sapere come chiamarmi non rivolgendomi affatto la parola, cambiando strada ad angolo retto e recandosi al settore di antiquariato. Io d’altronde cos’avrei potuto dirgli? Prenderlo a ceffoni finché non si convertiva? Me ne sono andato in un’altra biblioteca dove ho incontrato un collega che non mi aveva visto per tutta la settimana in cui ho giaciuto ammorbato. “Ah, dunque sei guarito”, mi ha detto; e io: “Sì, oggi è il primo giorno d’aria e ho appena incontrato l’arcivescovo di Canterbury”; e lui: “Ah, dunque non sei guarito”.