Dalla tornata elettorale amministrativa ho ricavato tre impressioni indelebili, tutte emerse dalla visione approfondita della puntata speciale di Porta a Porta. Al terzo posto si piazza il momento in cui Alessandro Sallusti ha fatto notare che a Torino la lista Fli aveva conseguito l’1,39%, grossomodo quanto la lista Consumatori per Fassino, e Italo Bocchino ha vivacemente protestato esordendo con queste parole: “Sì, però a Gallarate…”. Al secondo posto si piazza Giovanni Sartori, che prima ha dato addosso al centrodestra e poi, scorgendo la faccia giubilante di Enrico Letta, ha aggiunto a mo’ di corollario che il centrosinistra fa ridere e racconta solo balle. Mi è stato fatto notare che Sartori risulta avere abbracciato questa posizione ormai da tempo; se non che, argomento, un tempo avrebbe usato i termini “non riesce a far presa sull’elettorato” e “manca di credibilità”. Fatto sta che alla fine del sermoncino di Sartori la faccia di Enrico Letta non è stata inquadrata più. Al primo posto si piazza tuttavia incontrastato il momento in cui il ministro dell’agricoltura Francesco Saverio Romano ha protestato vibratamente contro il direttore dell’Ipr perché il suo partito, pur avendo conseguito il 3,5% a Napoli, è stato escluso dal confronto con le comunali del 2006 – del tutto incurante del caso che cinque anni prima il suo partito non esistesse. Ciò fa sorgere alcune domande spontanee:
- ma il ministro dell’agricoltura non era Galan?
- in generale, non era meglio tenersi Zaia?
- e poi il ministro nuovo non si chiamava Romani?
- soprattutto, quale partito?
- tre virgola cinque per cento?
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