Da quando Michela Murgia mi ha definito “maschio e
maschilista”, non solo in pubblico ma di fronte alla vasta platea di un collegio
universitario femminile, non ho più paura di nulla; quindi posso scrivere senza
patemi quanto segue.
Ma che gente frequento? Da ieri pomeriggio ininterrottamente
molti giovanotti e giovinette che risultano miei amici su facebook se la stanno
prendendo con Libero, che stando ai loro resoconti ieri ha proposto di “chiudere
qualche facoltà per aprire più reparti maternità”. Per fortuna anche l’articolo
in questione è opera di una persona che frequento e che leggo abitualmente,
Camillo Langone, il quale con toni mai così moderati ha evidenziato alcune
verità statistiche evidenti a chiunque non vada permanentemente in giro con una
copia di Repubblica sugli occhi:
1) gli italiani non vogliono fare i genitori;
2) se
non nascono figli agli italiani, l’Italia verrà riempita per mera legge fisica dai
figli degli stranieri;
3) la
religione, a sorpresa, non sembra avere grande influenza come argine al calo
delle nascite, che colpisce parimenti nazioni a maggioranza islamica e a
maggioranza cristiana;
4) dove
aumenta la scolarizzazione femminile la maternità diminuisce.
Poiché so che i miei amici di facebook tendenzialmente non
mi leggono, mi permetto di criticarli consapevole che ciò non intaccherà i
nostri rapporti. I loro lamentosi schiamazzi, pregiudiziali e ripetitivi, non
tengono conto di alcuni fattori cogenti:
a) la
posizione espressa nell’articolo di Langone non può essere identificata tout
court con la posizione di Libero, che ha dedicato la stessa pagina 17 a un
articolo di orientamento opposto scritto da Selvaggia Lucarelli (titolo: “Ma
quale cultura? Serve solo più welfare”);
b) la
classica protesta secondo la quale le giovani italiane non fanno più figli
perché guadagnano troppo poco è viziata da due paralogismi, vulgo fesserie:
i)
non considera che situazioni di indigenza
estrema non hanno trattenuto le italiane da figliare come chiocce nei secoli
passati;
ii)
rafforza involontariamente la posizione di Langone:
è ovvio che le donne guadagnino poco, se si laureano tutte in lettere moderne;
c) nell’articolo
incriminato non c’è scritto niente di nuovo:
i)
sia in senso relativo, in quanto Langone aveva
pochi giorni fa sostenuto sul Foglio la medesima teoria (che non è ripetitiva,
è solo giusta) e non era insorto nessuno;
ii)
sia in senso assoluto, in quanto lo stesso
Langone esprimendo tale teoria sul Foglio si era rifatto a Thomas Bernhard (che
riteneva l’ignoranza il miglior incentivo alla gravidanza); e se vogliamo dirla
tutta il ministro inglese David Willetts, che Langone citava ieri in chiusura d’articolo,
sostiene la medesima teoria dai tempi in cui era all’opposizione, tanto che io
stesso, si parva licet, gli avevo dedicato un articolone risalente ormai a quasi
due anni fa.
Insomma, se qualcuna voleva protestare poteva farlo a suo
tempo: accanirsi contro un articolo solo perché viene pubblicato su Libero e
viene citato fuori contesto dal vario sottobosco di siti del progressismo viola
è un po’ tardivo. Se vogliamo entrare nel merito della questione, potrei
raccontarvi un episodio autobiografico che svela come il dilemma figli o
istruzione sia un gioco a somma zero: negli scorsi anni mi sono avvalso dell’aiuto
costante e benefico di una madrelingua per risolvere complicati problemi di
traduzione in francese; costei ha avuto un bambino da poco e quando le ho
chiesto aiuto per una semplice questione grammaticale non ha più avuto tempo di
rispondermi, e giustamente perché chiunque abbia metà del buon senso necessario
a non infilare le dita in un tritacarne si avvede di come prendersi cura di un bambino
sia molto più importante della grammatica e pure della sintassi.
Mi sembra però
più divertente farvi notare che, alla luce di quanto ho scritto sopra, chi ha
criticato Libero per quest’articolo ha dimostrato in un colpo solo di:
I)
non saper considerare un testo all’interno del
suo contesto immediato, visto che non hanno notato l’articolo di fianco a
quello di Langone;
II)
non saper considerare un testo all’interno del
suo contesto storico, visto che non hanno saputo metterlo in correlazione con
quello che Langone aveva scritto in articoli e libri degli anni passati;
III)
non riuscire a distinguere un articolo firmato
dalla posizione della redazione di un giornale;
IV)
non leggere né giornali né libri (Langone
pubblica con Mondadori e Marsilio, mica con La Compagnia del Torchio Rovente) a
meno che non siano segnalati, già digeriti, da siti di veline progressiste;
V)
non saper distinguere la dura statistica dalle
loro pie intenzioni o da ciò che sta bene dire in società;
VI)
non saper scrivere altro che non sia la cassa di
risonanza di un’opinione altrui.
Sei numeri romani sono più che sufficienti per sancire che chi
s’è messo ad abbaiare contro questo famigerato articolo di Libero, in buona
sostanza, non sa leggere; quindi se studiasse di meno e facesse qualche figlio
in più non sarebbe una gran perdita per l’Italia.