Da un paio di giorni io e Fabio Capello abbiamo una cosa in comune, ma non si tratta né dei quadri di Kandinsky che lui ama collezionare, attirandosi le sapute ironie di chi vorrebbe che il rutilante mondo del calcio si limitasse al collezionismo di auto sportive e cosce aperte, né dei ciclopici prosciutti che stando ad alcune fonti gli vengono recapitati annualmente dalla Spagna quale parziale ricompensa per avere contribuito alla manutenzione della gloria del Real Madrid. Quando era arrivato in Inghilterra il giardino davanti alla sua nuova casa era stato assalito dai giornalisti a caccia di non si sa cosa; poiché non trovavano niente da rimproverargli così su due piedi, i quotidiani del giorno seguente (non mi riferisco solo ai tabloid scandalistici) si concentrarono sulla notiziona che, cacciandoli dal suolo privato, Capello aveva commesso un solecismo in quanto si era rifugiato in una farraginosa traduzione letterale dell'italiano "Andatevene da casa mia" invece di utilizzare l'espressione idiomatica "Get out of here". Quando l'Inghilterra è stata eliminata dagli ultimi Mondiali, riproducendo una volta di più il risultato che le compete ininterrottamente dal 1950 - a eccezione del 1966 (quando s'organizzò la vittoria in casa) e del 1990 (quando in un paio di occasioni rischiò comunque di essere ridicolizzata, perfino dal Camerun) - i giornali inglesi hanno abbandonato i toni trionfalistici che li caratterizzano a bocce ferme per puntare l'indice contro l'italiano e addossargli il grosso della colpa della sconfitta: che evidentemente non dipendeva invece dalla masnada di calciatori coi piedi quadri, la testa vuota, la bottiglia facile e il testosterone iperbolico che rappresentavano la patria in Sudafrica.
Gli Inglesi, si sa, inventarono il calcio per voluttà d'esser sconfitti; ma nella monotonia della disfatta ultimamente hanno scoperto il diversivo del linciaggio per futili motivi: fu così con Steve McClaren, colpevole di avere assistito a un'imbarazzante partita contro la Croazia sotto un ridicolo ombrello gigante coi colori della Federazione; fu così con Sven Goran Eriksson, colpevole di essere svedese e di avere una donna (relativamente) giovane, bella e per giunta italiana; figuriamoci come poteva andare con Capello, che era italiano egli stesso e a prima vistanon corrispondeva a nessuno dei principali luoghi comuni sugli italiani. Non gli hanno mai perdonato di non sembrare ciò che si aspettavano che fosse e l'hanno colto in castagna su quella che resta, secondo me, la principale differenza fra gli anglosassoni e noi.
In Italia, periodicamente, siamo vittime della coazione al politicamente corretto e ci facciamo un dovere, sui campi da calcio, di presentarci due o tre domeniche l'anno con gli striscioni ammonitori, le magliette indignate, le sciarpe dell'amore e così via. Tuttavia fingiamo di essere e non siamo: ci adeguiamo un po' per ipocrisia, un po' per opportunismo, un po' per pecorismo ma appena finisce la partita - o magari anche prima - torniamo a essere persone normali, con idiosincrasie inevitabili e pregiudizi più o meno giustificati, con interessi di bottega e un pizzico di sana cattiveria, o cinismo, o realpolitik. Sappiamo tutti dalla culla che gli Stati non si tengono co' i Paternostri in mano e ce ne facciamo una ragione, anzi ci giochiamo, trasformiamo questa consapevolezza in una disfida nera sulla quale ricamare le nostre vite e misurarne il successo. In Inghilterra la distinzione fra essere e dover essere - fra sein e sollen, visto che ormai qui bisogna parlare tedesco - è svanita da tempo. Si esige che gli Inglesi siano veramente ciò che sarebbe auspicabile che fossero: sobri, non fumatori, non razzisti, aperti alle religioni altrui (specie se islamiche), gay-friendly, un po' zoccole ma col preservativo, eccetera eccetera. Ciò ha portato da un lato a un inedito culto delle apparenze e dei formalismi ai quali ha fatto seguito la proliferazione di posizioni professionali (inutili e dannose) volte a monitorare la correttezza politica, religiosa, sanitaria, sessuale, sociale, culturale, storica, geografica, geometrica, metafisica, eccetera eccetera. Dall'altro ha patrocinato un progressivo appiattimento sulla convenienza a discapito del merito, ritenendo che non importi il talento di una persona, o la veridicità di ciò che sostiene, se contravviene all'idée reçue impanata e fritta che si ritiene debba essere preponderante onde evitare disparità, malinconie, offese.
I fatti sono questi, per chi non li conoscesse. Al capitano dell'Inghilterra, John Terry, la Federazione ha levato la fascia dal braccio perché avrebbe rivolto degli insulti razzisti a un avversario durante una partita di campionato. Si è ritenuto di deprivarlo sulla scorta dell'idea che un capitano debba dare il buon esempio; quando il calcio - che è sudore e fango, niente a che spartire col premio Nobel per la pace - esige che il capitano sia o il calciatore con più esperienza in squadra (modello Franco Baresi) o quello più rappresentativo e talentuoso (modello Diego Armando Maradona). Non importa se poi l'uomo in questione sia un puttaniere o un cannibale; l'importante è che si comporti abbastanza correttamente sul terreno di gioco, cercando comunque di favorire la propria squadra e non l'altrui. Fabio Capello, che pure non ama Terry (a differenza delle mogli di alcuni compagni di squadra), ha sostenuto esattamente questo: che la Federazione poteva togliere a Terry tutte le fasce che voleva e magari pure amputargli il braccio, ma non per questo sarebbero venute meno l'esperienza e il talento di Terry che lo rendono il più rappresentativo fra i connazionali e quindi capitano de facto. Aggravante, Capello ha osato sostenere quest'enormità su una tv italiana, quando è noto che le uniche fonti fededegne di informazione siano quelle d'oltremanica. Invitato - nella maniera in cui lo fanno gli inglesi, con mezze parole costernate e singulti di stupore - a ritrattare ciò che aveva sostenuto, in quanto corrispondeva alla verità effettiva e non a quella auspicata, Fabio Capello ha prenotato il primo aereo con biglietto di sola andata.
Ha fatto bene. Va bene i soldi ma la libertà di comportarsi da persona normale invece che da burattino del politicamente corretto vale di più. Gli restano i prosciutti barocchi di Spagna e la collezione di quadri di Kandinsky, che subito sono diventati "presunti Kandinsky" sulla stampa britannica. Presto, c'è da scommetterci, sentiremo parlare perfino di "presunti prosciutti". E adesso segnatevi la data: la stessa stampa gli darà immancabilmente dello Schettino il 20 giugno, quando l'Inghilterra sarà stata eliminata dall'Europeo con due punti su tre partite con Francia, Svezia e Ucraina e la polemica uscita di scena di Capello sarà ritenuta l'unica responsabile del fallimento; quando invece il problema non è il capitano che la abbandona, il problema è la nave che affonda da quarantasei anni.