Il diario intimo dell'Europeo
Domenica 1 luglio
h 20:45 Spagna-Italia
a Bussero
A me, ad esempio, interessa soprattutto in ciclismo e nel
frattempo è partito il Tour de France, quindi che l’Europeo continui a
continuare mi sembra un po’ scostumato e goffo, un frivolo reato di lesa
maestà. L’attenzione universale è inevitabilmente focalizzata sulla finale ergo
le prime pedalate gialle passano in cavalleria, io però non posso fare a meno
di ricordare quando Nacho ebbe a proclamare di fronte a un caffè macchiato
sotto i portici di Modena, sette anni fa senza crisi in mezzo: “Il Tour è la
cosa più importante dell’anno”. Nacho è incontestabilmente spagnolo ragion per
cui una collega pedante si precipitò a correggerlo: “La corsa, Nacho, si dice
la corsa”; e lui, incredulo che qualcuno potesse mettere in discussione
gerarchie tanto evidenti: “No no, volevo dire proprio la cosa”. Il Tour è la
cosa più importante dell’anno dunque non c’è partita, anzi la partita c’è ma è come
se non la guardassi, è come se l’Italia non la giocasse ed è come se non avessi
inviato se non per doverosa cavalleria il messaggino iniziale a Nacho: “Vamos a
gañar”; e lui: “Concordo”. Concordano fin troppo, gli spagnoli, fanno quello
che vogliono mentre ai nostri vengono le zampette rachitiche né c’era da
aspettarsi altro, bastava buttare un occhio in tribuna. Per noi c’era un
economista, un professore universitario, il capo di un governo tecnico che a
fine partita si permette pure di dire “Credo di parlare a nome di tutti gli
Italiani” quando a rigore farebbe meglio a evitarlo, visto che non l’ha eletto
nessuno. Per loro si presenta il Principe delle Asturie: come possiamo
contrastarlo? È come quando il 13 giugno del 2004 si tenne il referendum
anticattolico sulla fecondazione assistita e stravinsero le posizioni della
Chiesa: be’ grazie, da una parte c’era Sant’Antonio, dall’altra Sabrina
Ferilli. Improponibile. Lo spiegamento di forze istituzionali sugli spalti
denota lo stesso identico squilibrio, e se il calcio è niente niente specchio
del carattere nazionale stiamo freschi: resteremo confinati alla grigia
meschinità provinciale nella quale ci siamo ignobilmente esiliati da qualche
decennio, vergognosi di essere noi stessi e vogliosi di riprodurre modelli
astratti quanto più impolverati. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi
abbiamo Francesco Pannofino che legge le formazioni per dare un tocco di arte
nazional-popolare. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi abbiamo Bruno
Gentili che sullo 0-4 a un minuto dal termine trova il coraggio di rivolgersi
implorante ai dominatori con un mesto “Abbiate pietà”. Loro hanno il Principe
delle Asturie e noi abbiamo Marco Mazzocchi che salta prontamente sul carro del
vincitore dicendo a fine partita che bene hanno fatto gli spagnoli a non
fermarsi quando eravamo in ginocchio nella polvere e a gragnolarci imperterriti
di possesso palla e di goal. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi abbiamo
Amedeo Goria che s’inchina leggermente a ogni domanda che pone a Monti, fino al
sublime fracchiesco “Mi chiedono di chiederle gentilmente quando finirà la
crisi”. Loro hanno il Principe delle Asturie e noi non abbiamo nessuno che
dichiari pubblicamente in sede istituzionale o anche solo televisiva che è
stato bello e terribile innamorarsi per una settimana di quest’Italia
rimpinzata di bulli di quartiere, scommettitori seriali, tatuati al midollo,
cardiopatici, addormentati in piedi, nani, omofobi, bisessuali, inquisiti e trovatelli; questa
nazionale dei caratteriali, tutta scassata, che senza badare alla bella figura
è riuscita a darle di santa ragione a tedeschi e inglesi quando serviva,
facendo ciò che i suoi compatrioti hanno da tempo smesso di voler tentare di
essere capaci di fare, riuscendo a risvegliare entusiasmi tribali che
tracimavano nell’accantonamento della diplomazia mentre tutta una risma di opinionisti
in punta di forchetta si scandalizzava dicendo che così non si fa: non si
mandano a fanculo i tedeschi, non si mostra il dorso di indice e medio agli
inglesi, non sta bene, siamo europei civili, cosa diranno di noi in società. Gli
spagnoli hanno il Principe delle Asturie e noi siamo un’accozzaglia di mosci
disfattisti che non merita di essere nazione, e pretendevamo pure di vincere.
[Se non vi piace l'impaginazione, potete leggerlo anche sul sito di Tempi.]
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