Finalmente domenica!
Undicesima giornata, 4 novembre 2012
Oggi è il 4 novembre e la prima cosa che apprendo alzandomi al mattino è che Giorgio Napolitano esprime sostegno alle forze armate; un po’ come aveva fatto nel 1956, penso, e mi metto a riflettere su come potrei inserire con eleganza questa boutade nel pezzo autobiografico che devo scrivere per Quasi Rete ma ristò all’idea che, se il pezzo dev’essere autobiografico, Giorgio Napolitano c’entra poco e niente. L’importante è che non mi venga in mente di infilarlo nell’articolo che al mattino devo invece scrivere per un settimanale: mi è stato chiesto di camuffarmi per sette giorni da lettore indefesso di un noto quotidiano e di scrivere a settimana conclusa le impressioni che ho ricavato dall’analisi semantica e stilistica del quotidiano stesso. Se non che, mi accorgo, non posso nemmeno parlare di questo nel pezzo diaristico per Quasi Rete, in quanto brucerei l’argomento propostomi da settimanale e soprattutto mi ficcherei in una complicata autoreferenzialità per la quale, dovendo descrivere la mia domenica ed essendomi capitata una domenica in cui fuori piove e io son barricato dentro a scrivere, giungerei all’eccesso di scrivere un pezzo in cui scrivo che sto scrivendo che scrivo che sto scrivendo, e così via: ora, se una cosa del genere la facesse Baricco tutti direbbero che si tratta di una trovata geniale, di un significativo aperçu della vacuità della cultura contemporanea, di uno sguardo finalmente non menzognero sull’identità autoriale. Se invece lo facessi davvero, chiamereste l’ambulanza e non avreste gran torto.
Così mi ritrovo a corto di argomenti e mi ricordo di una volta, mi pare in quinta ginnasio, quando la professoressa d’Italiano spiazzò tutti proponendo come unica traccia per il tema in classe proprio questa: “A corto di argomenti”. Credo che sia la traccia più ardita che si possa escogitare in quanto mette lo studente, che fin lì va avanti a scrivere solo a comando, di fronte al terrificante abisso di dover scrivere senza sapere quale argomento affrontare; terrificante abisso che provo anche oggi, dopo aver scritto tutti i pezzi che dovevo scrivere lungo questo ponte e accorgendomi di avervi sparato tutte le cartucce. All’epoca me la cavai scrivendo un tema sul mio compagno di banco, perché ero uno zuzzurellone già a quattordici anni, ma oggi che ne ho più del doppio pur essendo altrettanto zuzzurellone non ho nemmeno un compagno di banco di cui parlare, ragion per cui guardo la traccia e non so cosa scrivere, a corto di argomenti come non mai.
Se tu guardi l’abisso anche l’abisso ti guarda, diceva Giulio Tremonti. Mi sento dunque tramortito come la Juventus ieri sera, e in effetti potrei commentare la partita della quale – avrete notato – non s’è fatto un gran parlare sugli organi stampa nazionali; diciamo pure che è passata sotto silenzio. O meglio, non è passato sotto silenzio il fuorigioco di Asamoah, anzi c’era gente che dopo cinque minuti aveva già smesso di guardare la tv per postare su facebook la propria indignazione per l’ennesimo campionato falsato e invocare Ingroia presidente della Federcalcio; ciò che è passato sotto silenzio è che, se Marchisio non avesse avuto i piedi quadri per una sera, dopo un quarto d’ora l’Inter si sarebbe trovata sotto di tre reti e lo spensierato Stramaccioni a quest’ora starebbe facendo terra per ceci, come uno Zeman qualsiasi. Ecco, io però notoriamente non sono persona che ami rinfocolare le polemiche né dire alcunché di politicamente scorretto e tanto meno ho qualcosa contro Zeman o contro l’Inter; per di più in tv mi limito a guardare il calcio giocato e l’unico commento che ascolto è quello di mio padre alla domenica pomeriggio alle diciassette.
“Su che canale?”, chiederete. Su nessuno, al telefono di camera mia. Di solito al pomeriggio lui dorme per un paio d’ore, io guardo le partite, poi ci sentiamo e me le spiega. Sulla partita di ieri siamo piuttosto d’accordo, e la vittoria del Milan sul Chievo non viene nemmeno citata; tuttavia mi rendo conto che quando la Juventus perde lui prende a storpiare i nomi dei giocatori, credo per esprimere disprezzo per degli indegni epigoni di Boniperti e Platini; ragion per cui visto l’andazzo è la prima volta che lo sento cambiare i codici fiscali ai nuovi acquisti Asamoah e a Lichtsteiner. Giovinco, che ha un nome più semplice, diventa tout court “quello basso”. Mia madre gli dice di tagliare perché lei invece la domenica mi fa l’oroscopo, che è una pratica che io non condivido (sono cattolico: niente oroscopo né yoga né Nichi Vendola) e alla quale sono sottoposto per tradizione orale. Pare infatti che oggi a casa dei miei i canali Rai non si prendano e quindi mia madre mi dice che mia zia le ha detto che Paolo Fox ha detto che questa settimana io, il Sagittario, riceverò una proposta.
Al che protesto che l’oroscopo così lo so fare anch’io, mentre Paolo Fox, sempre per il doppio tramite di mia madre e di mia zia, protesta che lui può solo limitarsi a dare indicazioni generiche sull’andamento degli eventi, perché i dettagli li decide (indica in alto) il Signore – o, nel caso della Juventus, il guardalinee. La disputa teologica con Paolo Fox mi porterebbe forse troppo lontano per essere uno che ha iniziato a scrivere senza sapere esattamente cosa scrivere e senza voler fare alcunché per nasconderlo, ragion per cui cesso di farlo con grande soddisfazione per essere riuscito a tacere ciò di cui mi vergogno e m’imbarazzo ossia che, quando siamo andati a mangiare una pizza dopo essere stati cacciati dal ristorante, io e Savio, a un certo punto ci siamo accorti che attorno a noi c’erano solo coppie dello stesso sesso; sarà sicuramente stato un caso ma, poiché Milano è piccola non vorrei che un giorno lontano venissimo ricordati come i celebri autori gay di Anticipi, posticipi, incapaci di frequentare i ristoranti giusti e morti postumi.
[La rubrica continua, col diario di Francesco Savio, su Quasi Rete.]