Finalmente domenica!
Diciassettesima giornata, 16 dicembre 2012
Oggi è il compleanno del Milan, che ha centotredici anni ma se li porta meglio dei miei trentadue. È altresì una giornata storica perché – come ha ricordato Franco Lauro prima di imperniare la seconda metà di Novantesimo Minuto sulla discussione con Beppe Dossena riguardo all’effettivo risultato di Carpi-Lecce (1-0 come sostiene la regia o 1-1 come scrive la grafica?) – dopo trent’anni di onorato servizio va in pensione Franco Strippoli, l’inviato da Bari della storica trasmissione Rai. Di Franco Strippoli resta imprescindibile l’imitazione fatta da Lino Banfi nel corso di una vecchia e dimenticabile serie televisiva. Banfi interpretava un giornalista pugliese, accompagnato dal fido cameraman Gianni Ciardo, che veniva improvvisamente chiamato a sostituire il cronista titolare in occasione di una Bari-Juventus conclusa con un rigore decisivo in extremis per i bianconeri. Banfi iniziava pacato il suo commento post partita ma poi, giunto al fattaccio incriminato, non resisteva e trascendeva in vernacolo strappandosi di testa il parrucchino, appallottolandolo e scagliandolo al suolo. Di conseguenza veniva chiamato alla sede di Roma e diventava famoso.
Io non so se diventerò famoso; non so nemmeno se diventerò Franco Strippoli e quindi addivengo a più miti consigli. Tento ad esempio di esercitarmi con le simulazioni dei test online tramite i quali martedì prossimo sarà giudicata la mia capacità di insegnare storia e filosofia nei trienni dei licei; ma non appena riesco a trovare i cinquanta minuti necessari, e vi assicuro che non è stato facile nonostante lo stereotipo del concorsista nullafacente, ecco che il sito del ministero dell’istruzione mi impedisce lo svolgimento sancendo che il mio computer è obsoleto. Obsoleto sarai tu, rispondo al ministero, visto che il computer l’ho comprato un anno e mezzo fa mentre il ministero non funziona dal 1944. Pazienza: lo prendo come un segno del destino e giacché ho il computer acceso mi metto a fare un paio di partite a un noto videogioco di calcio, intuendo che l’utilità ai fini concorsuali sarà più o meno identica.
Ora, Valerio Magrelli (per gli amici “Er Sorpresa”) sostiene di avere tentato di appassionarsi ai videogiochi osservando suo figlio che vi si prodigava, ma di non avere mai capito come si facesse a esultare per un goal che non è mai esistito. Questo aprirebbe una discussione ontologica mica da ridere: se non esistono i goal segnati con un videogioco, esistono quelli per i quali ho visto esultare bambini che giocavano in cortile senza pallone, rincorrendosi e tirando e saltando secondo il canovaccio istintivo di una muta commedia dell’arte? Esiste il goal del passante che, sapendosi non visto, calcia una lattina e centra il muro che aveva mirato? Esistono i goal in base ai quali la Gazzetta dello Sport ha dipanato un paio di estati fa la Dream Cup, un trofeo virtuale con squadre immaginarie ma cronache dettagliatissime? Esistono i goal che i bambini sognano dormendo abbracciati al pallone con cui i genitori non li lasciano giocare?
I goal, in larga parte, sono un evento inesistente la cui realtà è data dalla comune credenza; un po’ come i test online del concorso per l’insegnamento di storia e filosofia nei trienni dei licei. La discriminante, il motivo per il quale il videogioco non è assimilabile al calcio, è piuttosto questa: riproduce non già il gioco del calcio in sé – ossia correre saltare colpire – ma l’esperienza televisiva del gioco del calcio. Il videogiocatore è un telespettatore che con le proprie dita può cambiare il corso della partita che sta guardando. Il suo punto di vista è esterno e interno al tempo stesso e, trattandosi di una prospettiva palesemente irrealizzabile nella vita reale, mai nessun videogiocatore potrà pensare di sostituire l’esperienza del gioco del calcio con l’esperienza del videogioco di calcio.
Preoccupa piuttosto il contrario, ossia la progressiva trasformazione del calcio in videogioco allo scopo di favorirne la fruizione televisiva. Se ci pensate, un videogioco per quanto sofisticato si basa sulla ripetizione di una determinata combinazione di eventi secondo un ordine mutabile un tot di volte. Il calcio invece è un’anguilla, come sostiene il famoso detto secondo cui la palla è rotonda: inafferrabile e imprevedibile, non c’è niente che sia riuscito a riprodurne ogni sfaccettatura. Dovendosi però venderlo come prodotto di intrattenimento, si è allora pensato di renderlo più fruibile e più commestibile smontandolo e traducendolo in pezzettini giustapposti: si è iniziato sciorinando i primi dati numerici sul possesso palla e ora sappiamo in tempo reale quanti km ha corso e quanti passaggi ha effettuato un calciatore; si è iniziato col Telebeam e ora siamo finiti al Magma di Adriano Bacconi; si è iniziato con l’estemporaneo ed esotico hombre del partido e siamo finiti alla codifica del meglio e del peggio con l’uomo partita Sky o con i più e i meno della tv di Stato. Non ha senso. La partita di calcio è un evento confuso (soprattutto se in panchina c’è Zeman, ma è un altro discorso) e non è traducibile in nessun altro linguaggio, né su tablet né su lavagnetta; cercare di spiegarlo o addirittura di capirlo secondo parametri standard è come voler quadrare il cerchio. Alla meno peggio si ottiene un poligono con talmente tanti lati che non si sa più come chiamarlo, ma che non sarà mai rotondo: tutti gli opinionisti che discettano di cifre e controcifre non si accorgono che stanno analizzando solo l’esperienza televisiva, confondono la percezione con l’oggettività e si comportano come altrettanti videogiocatori, con la differenza che ci credono davvero.
Il goal non esiste. Lo sanno Beppe Dossena e Franco Lauro che discettano sul risultato misterioso di Carpi-Lecce e lo so io, che immagino l’obsoleto Franco Strippoli scoprire all’improvviso che i salentini non hanno mai pareggiato, strapparsi finalmente il parrucchino, scagliarlo appallottolato sul pavimento dello studio e diventare famoso anziché andare in pensione.