Finalmente domenica!
Ventiseiesima giornata, 24 febbraio 2013
“Ma come, non vai in Puglia a votare?”
“No affatto, mi fa schifo.”
“Cosa? La Puglia o votare?”
“Non iniziamo a fare distinzioni capziose. Il mio è un semplice ragionamento di costi e benefici, ma soprattutto di tempi: se andassi in Puglia, foss’anche in aereo, dal mio domicilio lavorativo alla mia residenza fiscale impiegherei qualcosa come quattro ore, forse cinque, da moltiplicare per due visto che intendo anche ritornare dalla residenza fiscale al domicilio lavorativo. In quel lasso di tempo posso fare molte cose più utili alla mia patria, o quanto meno a me medesimo – che è già qualcosa. Se invece dovessi andare in Puglia in treno, considerati cambi e ritardi, non farei in tempo a voltarmi e tornare al domicilio da cui ero partito che avrebbero già convocato nuove elezioni, a giugno nel peggiore dei casi, a marzo dell’anno venturo se tutto fila liscio.”
“Quindi un partito vale l’altro?”
“Macché. Considera che in Italia ci sono circa 50 milioni aventi diritto ma che di questi votano circa in 35-38 milioni. Considerato che le elezioni di oggi costeranno allo Stato circa 360 milioni di euri, soldi che abbiamo guadagnato perché loro li spendano, possiamo dedurre che il voto di un singolo cittadino gli costa in media dieci euri sonanti, che magari preferirebbe investire altrimenti, che so, pizza e birra da asporto. Detto questo, se quel singolo cittadino dovesse scegliere di votare un partito favorevole all’aumento delle tasse, è evidente che il suo voto costerebbe almeno il doppio. Io, se fossi in lui, preferirei votare il partito più economico. I calcoli fatteli tu.”
“Non credi tuttavia che votare sia un meraviglioso e irrinunziabile esercizio di partecipazione democratica?”
“Altroché: ne siamo tutti ben consapevoli e infatti votiamo alle politiche, alle regionali, alle provinciali, alle comunali, alle circoscrizionali, alle condominiali, alle primarie, alle parlamentarie e perfino un mucchio di referendum a casaccio, in un sagace profluvio di democrazia in cui il voto del sagace analista politico vale esattamente quanto quello del quidam che vota l’amico del datore di lavoro del cognato perché spera in un favore sottobanco per il figlio o per lo zio. Intanto, se considero fino a che giorno dell’anno uno deve lavorare per pagare il pizzo allo Stato, mi viene la faccia dell’urlo di Munch. Gli Stati Uniti d’America sono nati al grido: no taxation without representation; ovvero, non paghiamo le tasse se non esercitiamo potere legislativo. Il principio su cui si regge la nostra democrazia è: lots of taxation, lots of representation. Possiamo votare chi ci pare, perfino i partitini stagionali che compaiono sotto elezioni e spariscono nel nulla subito dopo avere tenuto la loro conferenza stampa in prima serata sulla Rai, e possiamo permetterci il lusso di votare mediamente una volta all’anno, purché paghiamo paghiamo paghiamo. In Russia, invece, la democrazia sarà limitata quanto vuoi, e dubito che ci siano giornalisti che possono andare in tv a sparare merda su chi credono senza contraddittorio alcuno, e magari mancheranno le gioiose manifestazioni in piazza con gazebo e drappi viola e palloncini gialli e bandiere arcobaleno e black bloc e no tav; però in questa benedetta Russia c’è l’aliquota unica al 13%.”
“Perché allora non ti ci trasferisci? San Pietroburgo è una città nobile e piena di sgnàcchere.”
“Perché fa freddo. Non voglio passare per qualunquista, ho detto che ci sono alcuni partiti che costano meno di altri e come tali sono da preferirsi sulla base di un razionale computo di costi e benefici, che è ciò che la gente di solito è incapace di calcolare. Non sono qualunquista e anzi credo che il peggio del peggio al momento sia la parodia del partito dell’Uomo Qualunque, col nome che sembra un hotel e il leader salterino. Il vicepeggio invece l’abbiamo già avuto sulle terga, per tacere di atri anfratti, negli ultimi tredici mesi. Peggio di entrambi ovviamente c’è quel partito con l’itterizia che cerca i voti dei cittadini non ancora indagati, ma è una rappresentanza poco più caratteristica dei nostalgici del Sacro Romano Impero.”
“Quindi centrodestra e centrosinistra sono uguali?”
“Sono le due alternative accettabili di oggi, al netto del diverso costo. Qualche anno fa, in occasione delle regionali, qualcuno mi aveva chiamato apposta per dirmi: -Tu che sei scrittore, non cercare scuse: stavolta devi per forza votare per un poeta.- -Guarda, gli ho risposto, francamente non m’importa che sia omosessuale e sono disposto a passare sopra al dettaglio che sia comunista, ma in quanto scrittore io non lo voto proprio perché scrive poesie.- D’altronde, se uno dovesse votare per tutti i pugliesi che scrivono poesie, avremmo un sovraffollamento istituzionale mica da ridere; sarebbe più discriminante votare per i pugliesi che hanno letto un libro, piuttosto che per quelli che ne hanno scritto uno.”
“Basta coi paradossi. C’è un pugliese che voteresti?”
“Ma ti pare che io debba andare in Puglia a votare persone che non conosco, e non mi sia invece consentito di attraversare la strada per recarmi al seggio qui di fianco e scegliere fra candidati che conosco di persona? Se avessi avuto tempo e voglia di andare fin laggiù avrei votato Quella sulla scheda rosa e Quegli Altri sulla scheda gialla: ragionandoci, è evidente che al sud Quella non ha speranze di raggiungere il livello minimo di sbarramento regionale al Senato; mentre Quegli Altri, pur cambiando nome ogni vent’anni ed essendosi oggi squacquerati in mille partitini del cazzo, in Puglia hanno una certa tradizione e quindi dovrebbero riuscirci”.
“Saresti convinto di quello che voti?”
“Traccerei croci molto leggere.”
“Da uno che rimpiange di non essere russo per via dell’aliquota fiscale mi aspettavo un voto per Oscar Giannino. Non lo voti perché non ha la laurea, anzi due?”
“Me ne fotto della laurea; all’estero tutti sanno a memoria il curriculum dei principali esponenti politici, e in Inghilterra si sa addirittura che il sindaco conservatore di Londra e il leader dei laburisti hanno frequentato la stessa scuola elementare, mentre da noi nessuno s’è mai chiesto che laurea abbia Bersani o Berlusconi, per non dire Di Pietro. Com’è che con Giannino all’improvviso siamo diventati selettivi? Giannino viene additato come il capostipite di una nazione di millantatori un po’ cazzoni, che al bar si vantano dell’inverosimile, e invece nonostante tutte le sue indubbie competenza e bravura è stato poco furbo. Doveva maneggiare il proprio curriculum vacante come arma contro un’Italia in cui chiunque ha un pezzo di carta appeso dietro la scrivania, in cui la maggioranza dei laureati triennali su scala nazionale meriterebbe tutt’al più uno sputo in un occhio. Avrebbe dovuto incarnare la necessità dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, ossia quella gabola per la quale conta che tu abbia il permesso di fare un mestiere e non l’evenienza che tu sia in grado di farlo, e per la quale accade anche che una laurea presa in un’università di competenza e tradizione sia uguale a una laurea conseguita all’università del friariello.”
“Il friariello è una verzura tipica della Campania. Lo vedi che sei razzista?”
“Non c’entra il razzismo. Da italiano consapevole che l’esperimento del 1861 è fallito, mi auguro soltanto che alla regione Lombardia vinca un noto tifoso del Milan”.
“E soprattutto che si vinca il derby. Ciao, compare.”
“Appunto. Ciao, Gurrado.”
[Il resto della rubrica, contenente la dichiarazione di voto di Francesco Savio, si trova come ogni lunedì su Quasi Rete, il blog letterario della Gazzetta dello Sport.]