martedì 12 marzo 2013

Finalmente domenica!
Ventottesima giornata, 10 marzo 2013

Mentre avantieri diventava ieri, una donna tentava di affermare i propri pari diritti turandomi il naso per soffocarmi: un sogno molto adatto alla notte dell’8 marzo, ma io stavo soffocando davvero, dormendo e sognando con la faccia premuta contro il cuscino. Sentendomi mancare il respiro mi sono svegliato di colpo. Non è la prima volta che mi accade e so che per uscire dall’apnea devo mantenere la calma, sollevarmi a sedere sullo schienale del letto, cercare l’aria con la bocca aperta, magari andare a fare pipì così camminando la respirazione torna pian pianino normale. Bere, per quanto istintivo, è sconsigliabile: si finisce per autoinfliggersi il waterboarding occludendo l’unica via respiratoria che stia funzionando al momento e i risultati pratici sono disdicevoli. Una volta terminate tutte queste operazioni, quando sono riuscito a rilassare i polmoni convincendoli che la donna che voleva soffocarmi era solo un brutto sogno (ma le femministe no) si erano fatte le sei e rotte quindi, lungi dal sapermi riaddormentare, non mi restava che prendere Il Pescara di Zeman di Oscar Buonamano e sfogliarlo per decidere cosa dire di preciso visto che dodici ore dopo avevo in programma di presentarlo.

“Sono venuto a seppellire Zeman, non a lodarlo” mi è parso un attacco più che conveniente. A sua insaputa Buonamano ha scritto un libro postumo, che è nato con intento celebrativo ma che arriva a Pavia quando il Pescara sta per essere retrocesso di nuovo e Zeman, il conte di Montecristo che doveva raddrizzare la Roma, ne è stato cacciato con ignominia per non avere saputo – fra le altre cose – distinguere un portiere da Mauro Goicoechea. Forse l’ha confuso col Goycochea pararigori dell’Argentina a Italia ’90, chissà. A inizio stagione il Pescara di Zeman già non c’era più; ora non resta molto del Pescara, ultimo in classifica al terzo cambio d’allenatore, e non c’è più nemmeno Zeman. Credo, anzi ci conto sapendo che non è una persona stupida, che Zeman smetta di allenare a livello professionistico e non ripeta l’errore che lo ha portato di fallimento in fallimento nei vent’anni successivi ai fasti foggiani, e che non voglia sottoporci ad altri vent’anni di piagnistei dopo i fasti abruzzesi.

C’è chi sostiene che la carriera di Zeman sia stata rovinata da Moggi il quale avrebbe fatto lobbying impedendogli di allenare grandi squadre. Se è per questo ho anche sentito molti scrittori dilettanti lamentarsi del complotto ordito da tutte le grandi case editrici per impedire loro di diventare famosi. L’Almanacco Panini, che contiene numeri e non illazioni, riporta una sconfitta ogni quattro partite nelle due stagioni di Zeman alla Lazio, più un esonero nella stagione successiva, e una sconfitta ogni quattro partite nelle due stagioni alla Roma (prima ondata). Dopo di che inizia il calvario: 10 partite al Fenerbahce, 6 al Napoli, un esonero alla Salernitana, 25 sconfitte su 45 partite all’Avellino, 14 su 38 al Lecce in serie A, 7 su 11 al Brescia, 10 su 18 al Lecce in serie B. Esonero dopo tre partite alla Stella Rossa di Belgrado nel 2009. Se ne deduce che Moggi è una Spectre che anche dopo essere stata smascherata estende le sue mortali spire anche su Serbia e Turchia, oltre che sulle Puglie. Si dice anche che alla Roma (seconda ondata) i senatori del gruppo gli giocassero contro, che la società lo esponesse al fuoco di fila dei giornalisti per sconfessarlo; io non lo so e non ho le prove. So invece che prima dell’esonero aveva perso 9 partite su 23, e che perfino il Pescara dei record nella scorsa stagione era riuscito nell’impresa di arrivare primo perdendo una partita su quattro, il che denota due dati di fatto: il livello delle concorrenti era discutibile; se tifate per una squadra allenata da Zeman, dovete rassegnarvi che nella migliore delle ipotesi piangerete una domenica al mese, e dovete tenere pronta un’abbondante scorta di Stock 84 per consolarvi.

Io temo che Zeman sia vittima di un complotto ordito ai propri danni da sé stesso. I numeri dimostrano che è come Rosencrantz e Guildenstern: un calice grande un tanto che quindi non riesce a contenere più di tanto (“They are little cups that can hold so much and no more”, scrisse Oscar Wilde dei due amici di Amleto). Tutte le volte che tenta di salire sopra una determinata linea, Zeman va in apnea come me quando schiaccio la faccia sul cuscino e sogno agitatrici dell’utero. È un allenatore di categoria, che ha vinto un campionato di serie C e due di serie B. Come tutti, non vincerà mai lo scudetto se non allenerà una delle tradizionali grandi squadre che lo vincono a priori; ma resta il mistero di cos’avrebbe combinato se fosse stato scritturato da Moratti. Qualche domenica fa, mentre i nerazzurri soccombevano 4-1 a Firenze, un americano maligno ha commentato su un social network che l’Inter dovrebbe ingaggiare Zeman, così almeno avrebbe una scusa. Resta il fatto che Zeman non è mai nemmeno riuscito a garantire una continuità di rendimento che portasse le proprie squadre oltre le ragionevoli aspettative in patria, come fecero Mondonico spingendo il Torino in finale di Coppa Uefa e Bagnoli andando a vincere col Genoa sul campo del Liverpool, nello stesso anno in cui la serie A scopriva il Foggia del boemo ma con molta meno pubblicità. Resta la contraddizione che lo stesso Zeman, quello che lamentava il degrado di un calcio incapace di essere propositivo e imporre la vittoria tramite la superiorità del gioco, abbia poi trascorso buona parte della scorsa stagione a lamentarsi delle sviste arbitrali in partite che il Pescara ha peso di due o tre goal. Resta il dilemma del perché, scoprendo a quindici anni di distanza che la serie A è rimasta marcia e fasulla come l’aveva lasciata con un certo sdegno nel 1999, Zeman non si sia dimesso dalla Roma ma abbia aspettato che la società lo esonerasse; spero di poter escludere che l’abbia fatto per continuare a venire pagato senza lavorare.

Non è un grande allenatore su scala assoluta ma è uno dei migliori scopritori e motivatori di giovani talenti. Non è poco, basta sapersene accontentare. Se Zeman aprisse una scuola calcio, l’ipotetico mio figlio ce lo manderei subito (sarebbe un modo di impedirgli di laurearsi) a patto però che non lo schieri in difesa: la vita è già abbastanza corta e triste di suo per trovarsi anche di fronte a una falange di attaccanti avversari scalmanati dal fuorigioco alto.

[L'altra metà della rubrica, in cui vengono svelati i contatti di Mario Monti col mondo del calcio, è a cura di Francesco Savio e si trova come ogni lunedì su Quasi Rete, il blog letterario della Gazzetta dello Sport.]