venerdì 12 luglio 2013

Potremmo dire che Voltaire era così impegnato a programmare il suo viaggio in Italia che non trovò mai il tempo di andarci. Leggiamo cosa testimonia lui stesso nelle sue lettere. Nel 1749 – ultracinquantenne – parla per la prima volta espressamente di un “soggiorno in Italia”, scrivendo a sua nipote M.me Denis. Leggendo queste parole, ci si immagina che questo soggiorno sia imminente e per certi versi inevitabile. Qualcosa però va storto, stando a quanto scopriamo da una lettera scritta l’anno dopo: Voltaire dice al marchese di Puisieulx, il quale sta per andare in Italia, che non vede l’ora di seguirlo. Tuttavia non lo fa. Un mese dopo, scrive che deve rimandare il viaggio all’anno seguente. L’anno seguente, ossia il 1751, Voltaire è perentorio: “Raggiungerò l’Italia in maggio”, annuncia; e, piuttosto sorprendentemente, si trasferisce in Prussia, dove trascorre alcuni anni alla corte di Federico il Grande. Passa un altro anno e nel 1752 Voltaire viene assalito dai primi dubbi: “Vorrei ancora vedere l’Italia prima di morire”, scrive poco prima di accantonare il progetto del viaggio in Italia per diciassette anni, durante i quali si trasferisce sul confine franco-ginevrino, prima nella tenuta di Les Délices, poi in quella di Ferney, dove resta per tutta la vita. Improvvisamente, nel 1769, Voltaire apprende che un suo conoscente sta per attraversare le Alpi e andare in Italia; gli scrive quindi lamentando di essere, ahilui, troppo vecchio per affrontare un viaggio del genere e, a quanto si deduce dalle lettere successive, anche per soltanto pensarci o parlarne mai più.

Sul Foglio in edicola oggi trovate un paginone con dentro la traduzione italiana del discorso che avevo tenuto la notte dello scorso 7 giugno all'Institut Français di Londra, in occasione di My night with philosophers, per giustificare la scelta del titolo del mio nuovo libro, Voltaire cattolico (Lindau).