Potremmo
dire che Voltaire era così impegnato a programmare il suo viaggio in Italia che
non trovò mai il tempo di andarci. Leggiamo cosa testimonia lui stesso nelle
sue lettere. Nel 1749 – ultracinquantenne – parla per la prima volta
espressamente di un “soggiorno in Italia”, scrivendo a sua nipote M.me Denis.
Leggendo queste parole, ci si immagina che questo soggiorno sia imminente e per
certi versi inevitabile. Qualcosa però va storto, stando a quanto scopriamo da
una lettera scritta l’anno dopo: Voltaire dice al marchese di Puisieulx, il
quale sta per andare in Italia, che non vede l’ora di seguirlo. Tuttavia non lo
fa. Un mese dopo, scrive che deve rimandare il viaggio all’anno seguente.
L’anno seguente, ossia il 1751, Voltaire è perentorio: “Raggiungerò l’Italia in
maggio”, annuncia; e, piuttosto sorprendentemente, si trasferisce in Prussia,
dove trascorre alcuni anni alla corte di Federico il Grande. Passa un altro
anno e nel 1752 Voltaire viene assalito dai primi dubbi: “Vorrei ancora vedere
l’Italia prima di morire”, scrive poco prima di accantonare il progetto del
viaggio in Italia per diciassette anni, durante i quali si trasferisce sul confine
franco-ginevrino, prima nella tenuta di Les Délices, poi in quella di Ferney,
dove resta per tutta la vita. Improvvisamente, nel 1769, Voltaire apprende che
un suo conoscente sta per attraversare le Alpi e andare in Italia; gli scrive
quindi lamentando di essere, ahilui, troppo vecchio per affrontare un viaggio
del genere e, a quanto si deduce dalle lettere successive, anche per soltanto
pensarci o parlarne mai più.
Sul Foglio in edicola oggi trovate un paginone con dentro la traduzione italiana del discorso che avevo tenuto la notte dello scorso 7 giugno all'Institut Français di Londra, in occasione di My night with philosophers, per giustificare la scelta del titolo del mio nuovo libro, Voltaire cattolico (Lindau).