Se in Italia cercaste uno scrittore avreste le vostre difficoltà a trovarlo in libreria. Il più delle volte vi imbattereste in predicatori o rimestatori o personaggi famosi con annesso ghost writer oppure, il peggio del peggio, in autori che vogliono essere di alto livello e per questo non solo snobbano la popolarità e la leggibilità ma cercano perfino di mostrare che la loro manifesta incapacità narrativa e stilistica sia frutto della ricerca di una prosa ulteriore, non commerciale. I loro libri sono iceberg di cui esiste solamente il microscopico cucuzzolo emerso; confidano che l'acqua torbida nasconda che sotto la punta non c'è niente. Oppure vi imbattereste in produttori seriali di metafore: nessuno che vi racconti una storia per quella che è, nessuno che vi dica una cosa per dirvi proprio quella cosa, ma tutti dicono che il calcio è metafora della vita e la televisione è metafora della politica e i ricordi d'infanzia sono metafora della dicotomia città/campagna e la storia d'amore omosessuale è metafora di tolleranza e il call center è metafora del capitalismo e la droga è metafora del disagggio. Per rendere l'idea del buco nero in cui siamo precipitati, quando hanno raddrizzato il relitto della Costa Concordia il primo a precipitarsi a dire che si trattava di una metafora dell'Italia è stato Roberto Saviano. Ho compatito i poveracci che credevano di star portando a termine un'ardita impresa ingegneristica e invece stavano portando a termine un'ardita impresa metaforica.
Io credo di aver trovato uno scrittore: si chiama Mattia Torre, ha 42 anni ed è fra gli autori di Boris - sia la serie, sia il film. Venerdì sera sono andato al Fraschini a vedere Qui e ora, una pièce che consiste in un'ora e dieci di discussione fra due estranei coinvolti in un incidente di motorino alla periferia di una Roma deserta per la parata del due giugno. Eh, mi ha detto un'amica, è la stessa idea che ha avuto Emma Dante in Via Castellana Bandiera. No affatto, ho risposto; perché (come ha giustamente notato l'infallibile Mariarosa Mancuso) l'ingorgo di Emma Dante non era un ingorgo ma era una metafora, con la strada che si allargava man mano che le contendenti diventavano inclusive e tolleranti l'una rispetto all'altra; invece in Qui e ora già il titolo sembra escludere che il senso sia da trovarsi altrove rispetto al palcoscenico.
Il senso sta nel fatto che la pièce stessa è intelligente, cinica, sorprendente e pure breve, il che non guasta. Dovendo scriverla Mattia Torre ha optato per un teatro dell'assurdo in cui i riferimenti colti non mancano - i personaggi sono immobilizzati come in Beckett, i loro ruoli si capovolgono nel corso della vicenda come in Ionesco - ma se ne può fare allegramente a meno. Ha evitato che lo scontro fra due italiani diversi diventasse metafora delle Due Italie contrapposte e inconciliabili, che le telefonate al 118 diventassero metafora della burocrazia alienante, che le carcasse delle moto diventassero metafore della Costa Concordia e a loro volta eccetera, che le arie di un cuoco famoso diventassero metafora della decadenza della cultura, che le angustie di un disoccupato mammone diventassero metafora della questione generazionale, che i rari momenti di compassione diventassero metafora degli uomini che solo uniti possono farcela e che la morte diventasse metafora di qualcosa che non si capisce bene in quanto, se su questa terra c'è una cosa poco metaforica, è proprio la morte: morire per credere. Mattia Torre è uno scrittore perché ha dimostrato che un incidente in motorino è un incidente in motorino è un incidente in motorino, perfino nell'Italia dei figuri retorici.