venerdì 31 gennaio 2014

L'importanza, se non la bellezza, di Masterchef risiede nell'assunto inverso a quello dei concorsi sulla tv generalista, dove a tutti è concesso di mostrare il proprio talento, anche ai poco talentuosi, e dove non viene risparmiato a nessuno l'elogio caciarone e il generico incoraggiamento a non arrendersi, a perseguire il proprio sogno. Masterchef è il contrario. Si basa sull'idea che pochi hanno talento, pochissimi sanno esercitarlo e quasi nessuno ha la forza morale di sforzarsi di migliorarlo costantemente. Se nello specifico la cattiveria dei tre giudici mal si adatta alla cucina, che dovrebbe essere gioia e panza piena anziché piatti che volano come gli insulti, va riconosciuto che il principio generale su cui si regge questo show vagamente sadomaso è esattamente quello che negli ultimi cinque anni è completamente sfuggito alla destra italiana: selezione, non inclusione; nettezza, non lassismo. Tutto qui.

La destra italiana invece ha preferito essere più italiana che destra e ha seguito il modello della tv generalista rinunziando a un'identità precisa in cambio di una maggiore estensione dell'audience, ossia del bacino di voti. Ma è meglio puntare sul milione di aficionados che seguono Masterchef con dedizione piuttosto che su dieci milioni di svagati spettatori di Ti Lascio Una Canzone che poi magari nemmeno sanno come si chiami di preciso Antonella Clerici.

Basterebbe per la destra italiana rifarsi al modello Rachida. La sarta magrebina è l'agent provocateur di quest'edizione di Masterchef: è incapace; è fastidiosa; strilla; semina zizzania; guarda tutti con superiorità demoniaca; se viene criticata, protesta che ciò avviene perché lei è diversa; piagnucola; odia tutti; tutti la odiano. Orbene un personaggio del genere sarebbe portato in palmo di mano sulla tv generalista, o in un partito di massa: all'inizio risulterebbe antipatico a tutti, poi capirebbe di avere sbagliato, si integrerebbe, verrebbe aiutato dai tutti nei momenti di difficoltà e finirebbe per diventarne il beniamino. Sarebbe il modello perfetto dell'immigrato immaginario, ossia della maniera in cui auspichiamo che si comportino davvero le presenze minacciose che ci impauriscono; è un pensiero consolatorio che serve a farci dormire tranquilli nonostante la realtà concreta.

Gli autori di Masterchef sono invece dei malandrini e sanno che Rachida ci affila l'amigdala, ovvero quella parte del cervello che allerta in presenza di un pericolo esterno e che, per caso non credo fortuito, si chiama come la pietra appuntita che nella preistoria fu una delle prime armi. Per questo Rachida non è ancora stata eliminata: perché i giudici possano continuare a trattarla male, a criticarla quando sbaglia, a scimmiottarla quando si lamenta, a deriderla quando piagnucola e a non portare il minimo rispetto alla sua diversità perché è lei a dover adeguarsi a loro e non loro a lei. Se la destra volesse davvero vincere le prossime elezioni, le basterebbe presentarsi con la leadership di Cracco o Bastianich; Barbieri, vicepremier.