Le tesi sono fatte per essere buttate. Bisogna spiegarlo a
chi si scandalizza per le
foto che sul sito di Repubblica mostrano cassonetti per la raccolta
differenziata della carta traboccanti di tesi in ingegneria informatica
discusse alla Statale di Milano. Roba inaudita, una vergogna che finora aveva
toccato solamente le università di Teramo (maggio 2011), Cagliari (novembre
2011), Parma (ottobre 2012) e Lecce (aprile 2013) per limitarci ai casi più recenti
e facilmente riscontrabili. Eppure chi ha riempito i cassonetti era nel giusto.
Nello specifico non si capisce perché conservare in eterno tesi come quella che
si scorge in cima, sulla “realizzazione di un sistema di comunicazione in aree
intelligenti per grosse organizzazioni”, discussa nel 1990 e inevitabilmente
obsoleta un quarto di secolo dopo. Se però vogliamo affrontare il tema più in
generale e chiederci se una tesi gettata via svilisca in qualche modo il senso
dell’istruzione universitaria e della ricerca accademica in Italia, non è
affatto difficile giungere a conclusioni simili.
Per definizione è la tesi di dottorato quella che consente
di arricchire un pochettino, al prezzo di anni di ricerca, la conoscenza
pregressa su un dato argomento; un progetto di dottorato è infatti volto a
colmare una piccola lacuna nella bibliografia, trattando un soggetto che prima
non c’era. La tesi di laurea magistrale, che si consegue dopo i corsi
specialistici del quarto e quinto anno, è invece una ricognizione della
bibliografia esistente e serve a certificare che il candidato sia a conoscenza degli
strumenti di base per intraprendere la corrispondente professione nonché degli
strumenti minimi necessari qualora volesse tentare di proseguire la ricerca. È
la scala che serve a raggiungere il tetto ma che, una volta arrivati su, non
serve più a nulla; conservarla è feticismo per genitori e nonni, come il
diploma appeso dietro la scrivania. La tesi di laurea breve, o triennale, è una
certificazione minima che serve ad assicurare in alcuni casi che il candidato
possa svolgere una professione-base e in altri che possa continuare a studiare
per altri due anni come ha fatto nei precedenti tre. Per ripararsi dalla pioggia
di carta che ne consegue, alcune facoltà stanno pensando di sostituirla con un
colloquio orale.
Solo una minoranza esigua e statisticamente impercettibile
di tesi di laurea viene coronata dalla dignità di stampa, ossia dal
riconoscimento che essa arricchisce la bibliografia esistente con un portato di
novità; e anche in questi rari casi, una volta che la tesi debitamente
aggiustata è diventata un articolo o una monografia, la si può tranquillamente
gettare via. Considerate infine la cosa dalla prospettiva del laureato. Se
intraprende una carriera professionale che non ha molto a che vedere con
l’argomento di laurea, la sua tesi resta lettera morta, poco più che un
esercizio di stile. Se decide di insistere sull’argomento sviluppandolo
professionalmente, la sua tesi viene superata dai fatti in men che non si dica.
Poniamo invece che opti per la carriera accademica e sulla tesi di laurea imbastisca
il dottorato e anni e anni di ricerca: qualora mai dovesse riprenderla in mano
gli sembrerebbe così ingenua e ruspante, inevitabilmente piena di sbavature
stilistiche e inesattezze fattuali, da voler recarsi sua sponte nella
segreteria d’ateneo a implorare che buttino nel primo cassonetto il suo errore
di gioventù.