Maracanazo
da Pavia, Brasile-Olanda
Diciamoci la verità, della finale per il terzo posto non frega niente a nessuno e infatti io mi attardo a guardare fuori dalla finestra di camera mia: da uno squarcio triangolare delle nubi si è palesata la luna, la famigerata superluna di cui parlano i quotidiani estivi, la megaluna che francamente non mi sembra così tanto più grande del solito ma che comunque è grande e bella e viva: tiro giù, operazione altamente sconsigliata in questa stagione a Pavia, tiro giù la zanzariera per osservarla senza reticolo e penso che fra le mie braccia appese alla ringhiera e il cielo non c'è niente, in teoria se mi sforzassi indefinitamente potrei toccarla. "Che fai tu luna in ciel?" - "I cazzi miei"; risponderà pur evasivamente, questa luna pavese che già sta per scomparire fra le nubi più alte, ma sicuramente non guarda la finalina di cui non frega niente a nessuno, neanche al signor algerino Haimoudi a giudicare da come arbitra. Arrivo in ritardo di due minuti e già ha fischiato un rigore per l'Olanda con ammonizione per Thiago Silva, del tutto incurante del caso che si trattasse di espulsione per il difensore e punizione da fuori area. Il giapponese Nishimura, ridotto al rango di quarto uomo a bordo campo, non può intervenire a riparare il torto usando l'equilibrato metro di giudizio che lo aveva caratterizzato nella partita inaugurale contro la Croazia, nazione nella quale a titolo personale gli sconsiglio di mettere piede giammai. Frega solo ai brasiliani, che infatti si fanno prendere da nuove paturnie e perdono malamente mentre io mi metto a pensare ad Argentina-Germania. Gli amici in realtà sostengono che io dorma, che russi forse, ma sono tendenziosi: in realtà un po' chiudo gli occhi per meditare più profondamente, un po' do un'occhiata a chi mi scrive sul telefonino, un po' penso che prima guardando la luna ascoltavo la ballata di Kleinzack dai Racconti di Hoffmann musicati da Offenbach - sono un uomo sofisticato - e mi ricordavo del concerto dei tre tenori alle terme di Caracalla. Sera prima della finale dei Mondiali di Italia 90, clima migliore di oggi, abito scuro e luna in ciel: il giorno dopo, a torneo finito, sull'allora avveniristico maxischermo dell'Olimpico sarebbero apparsi come congedo il faccione di Pavarotti che cantava una romanza a caso, la luna, e la scritta "Ciao Italia 90 Welcome Usa 94", o cose del genere; avevo dieci anni e non ricordo più. Ricordo invece la partita. Maglie bellissime, luminose: la Germania in tenuta bianca solcata da un ghirigoro nero-rosso-giallo e mutande nere; l'Argentina in divisa blu da sera e mutande bianche. Il momento più interessante della partita fu una punizione per i tedeschi, che Littbarski batte non già verso la barriera e la difesa argentina schierata ma inventando un pallonetto laterale per Brehme, solo e trascurato, che tira di controbalzo e costringe Goycochea a parare con qualche affanno. Il momento più interessante della serata era stato l'inno argentino, con Maradona che mentre i connazionali cantavano scandiva "hijos de puta, hijos de puta" al pubblico italiano che fischiava l'albiceleste rea di avere estromesso gli azzurri in semifinale. La partita venne decisa dall'arbitro Codesal, messicano dal nome di ansiolitico, che estraeva teatralmente cartellini (rosso a Monzon, rosso a Dezotti, tre gialli) e assegnò ai tedeschi un rigore fantasioso forse in riparazione della sconfitta dell'Italia, chissà. Tira Brehme, che è mancino; Goycochea fin lì ha parato rigori a caterve e azzarda la mossa di saltellare dal lato destro, opposto rispetto a quello verso cui crede che l'avversario tirerà, per poi allungarsi sul sinistro: se non che Brehme viene colto dalla follia dell'irripetibilità e decide, per una volta, di tirare col destro davvero. Goycochea è costretto sull'istante a prolungare il saltello in disperata tensione verso la palla che entra e vince la Germania Federale. Non così quattro anni prima, nella finale del 1986. A Città del Messico niente luna (è il locale mezzogiorno) ma sempre maglie bellissime: le tradizionali strisce biancocelesti con mutande nere l'Argentina, in civettuola tinta unita verde (ma mutande bianche) la Germania. Non ci crederete ma con gli stessi protagonisti del '90 andò in onda una bella partita. I tedeschi commisero l'errore di sacrificare Matthaeus, che era il loro più forte, in marcatura su Maradona; così finì che a inizio secondo tempo erano sotto di due reti. Rimontarono con due goal uguali, metodici e caparbi. Calcio d'angolo, prolungamento di testa di un marcantonio a caso e deviazione vincente di un attaccante di rapina: prima Rummenigge, poi Voeller. Commisero quindi un secondo errore; credettero che le partite finissero all'ottantesimo minuto e, raggiunto il pareggio, si misero ad aspettare i supplementari la cui prospettiva venne invece sbaragliata da Burruchaga: il quale, lanciato in profondità da un passaggio dettato da Maradona con la canna da pesca, trova la forza di correre come se non ci fosse un domani e trafigge un disorientato Schumacher già reo, sulla prima rete, di essere uscito a farfalle, cogendo mariposas. Si precipita in campo a esultare Carlos Bilardo, allenatore dell'Argentina, detto el narigon per via del naso che lo rende un Pippo Franco meno scanzonato; corre tenendosi con la mano la giacchetta per timore che voli via finché l'arbitro lo riaccompagna oltre la linea laterale. Mi risveglia l'urlo per il terzo goal dell'Olanda, al novantesimo e passa; non è più il 1986 né il 1990 però due cose sono rimaste uguali: possiamo guardare un'altra Argentina-Germania e, quando finisce, guardare la luna; è gratis.