martedì 19 agosto 2014

Dice che l'estate è la stagione dell'amore. Adesso è anche la stagione delle piogge. Fatto sta che mi ha fatto tornare in mente un vecchio pezzo che avevo scritto per Tempi nel 2010, in cui spiegavo cosa direi alle signorine di oggi se anziché Gurrado fossi Jane Austen.

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È una verità universalmente riconosciuta che dovrebbero sposarsi solamente i maschi. Alle donne non conviene: perdono terreno sul lavoro, vengono limitate nella loro libertà espressiva, si riducono a passare l’aspirapolvere mentre il marito guarda Empoli-Ancona su Sky e sono costrette a dormire sul divano perché lui russa. Sposandosi, una donna sacrifica tutto quanto di buono aveva fatto fino ad allora e soprattutto ciò che potrebbe fare in futuro. Molte femministe sostengono l’istituzione del matrimonio fra uomini solo perché così verrebbero lasciate in pace.

Non si spiega altrimenti il successo planetario di Elizabeth Gilbert. Quest’anno uscirà il film tratto dal suo libro più celebre, Mangia prega ama, già tradotto in Italia da Rizzoli. Poco sorprendentemente, è la storia di una donna – Julia Roberts sullo schermo, la stessa Gilbert nel volume – che dopo essersi sposata giovane e avere divorziato molla tutto e per ritrovare sé stessa va a Roma a bere una quantità indiscriminata di cappuccini alle ore più impensate e a guardare le partite casalinghe della Lazio. Dopo di che, per ritrovarsi ancora di più, va a farsi buddista o scintoista in India e in Indonesia dove, già che c’è, trova anche un figaccione chiamato Felipe se lo riporta in America come bagaglio a mano.

Ho letto il libro della Gilbert qualche anno fa e quindi i dettagli mi sfuggono. Ricordo distintamente però che molte donne sono andate in sollucchero non solo in America ma anche in Italia, dove ci si aspetterebbe meno instabilità emotiva e soprattutto dove l’itinerario della Gilbert diventa difficilmente praticabile: se, poniamo, una casalinga di Torpignattara viene mollata dal marito, siamo sicuri che può risolvere tutti i suoi problemi bevendo un cappuccino nella curva nord dell’Olimpico? Eppure sui siti che lasciano la parola alle lettrici le recensioni a Mangia prega ama sono tutte positive: “una bellissima finestra aperta sul mondo femminile”, “un libro molto catartico” in cui “molte donne di tutte le età si rispecchieranno e alla fine vedranno più chiare le loro potenzialità”. I lettori italiani maschi non si pronunciano, forse (a parte me) non esistono nemmeno. Su facebook la Gilbert ha 1310 fan che, giuro, a mezzanotte e mezza si connettono a internet dal telefonino appositamente per scrivere sulla sua bacheca frasi topiche tratte dal suo stesso libro o per assicurarle che hanno appena finito di rileggerlo per la quarta volta. In America i lettori maschi esistono e solitamente le scrivono per dirle che alla presentazione della sera prima l’hanno trovata particolarmente affascinante ma erano troppo timidi per dirglielo di persona. Appena uscirà il film, la situazione degenererà e assisteremo a ciò che Joseph Conrad sintetizzerebbe con una sola parola ripetuta due volte: l’orrore, l’orrore.

Per questo la mia eroina è un’ebrea americana che si chiama Lori Gottlieb. In teoria dovrebbe essere l’eroina di ogni rispettabile femminista e di conseguenza il mio incubo: ha 43 anni e ne dimostra una trentina, ha un unico figlio partorito quando già si affacciava agli -anta, non è sposata né fidanzata quindi l’ha cresciuto completamente da sola, il padre essendo un anonimo donatore di sperma e lo zio un frigorifero. Ha dedicato la vita alla carriera ed è stata un carro armato: scrive sul New York Times, sul Los Angeles Times, su Elle e su Glamour; ha partecipato ad antologie di saggi pubblicate anche dalla Oxford University Press; ha pubblicato quattro libri in proprio, due dei quali sono stati rivenduti a Hollywood per la riduzione cinematografica; il quinto è stato appena pubblicato negli Stati Uniti e ad aprile invaderà la Gran Bretagna. Ciò nondimeno Lori Gottlieb risulta enormemente impopolare. Le femministe la detestano, le dicono che è più vecchia di quello che sembra e più brutta di quel che è; le danno della maschilista, della fascista, della retrograda e della traditrice. Nonostante l’ avallo di Oprah Winfrey, la donna che ha fatto vincere le elezioni a Obama, lo scetticismo intorno alla Gottlieb è rimasto sesquipedale ed è testimoniato dal numero di fan che è riuscita a racimolare su facebook: 62, fa quasi pena.

I libri di Lori Gottlieb non sono mai stati tradotti in Italia; peccato perché ce ne sarebbe bisogno. Anzitutto bisognerebbe diffondere Marry him!, ovvero Sposalo!. La teoria alla base del volume è che gli ideali femministi imposti dalla società tendono a sviare le donne da ciò di cui avrebbero bisogno e perfino da ciò che non ammetterebbero mai di fronte a sé stesse di desiderare; le fanno diventare ipercritiche nei confronti degli uomini con cui hanno una relazione e le spingono a mollarne uno dietro l’altro senza considerare che il tempo sfugge e i treni passano una volta sola. Così facendo, suggerisce Lori Gottlieb, si finisce come lei: quarant’anni ben portati, un bel bambino e una carriera gloriosa che la fa tornare a casa ogni sera senza trovarci nessuno con cui fare due chiacchiere.

Il corollario della teoria è contenuto nel volume successivo, Mr Good Enough (ovvero Mister Accettabile), pubblicato in America in occasione di San Valentino. Se possibile, Lori Gottlieb si fa ancora più radicale nelle sue idee rivoluzionarie: sostiene che ogni donna desidera sposarsi; che una donna che si risvegli a 30 anni senza un marito accanto inizia a essere lievemente preoccupata; che le donne sposate sono mediamente più felici di quelle che cenano da sole con cibo tailandese da asporto riscaldato al microonde; che chi non si accontenta mai e non è disposta a chiudere un occhio sugli inevitabili difetti del fidanzato di turno corre il rischio concreto, un giorno, di non avere più nessuno con cui continuare la turnazione. Feministing.com, uno dei siti più involontariamente divertenti dell’universo, in maniera conciliante l’ha definita “autrice di stronzate”. La firmataria della recensione, tale Vanessa, è sicuramente femminista ma dubito che sia fidanzata.

Il paradosso è che Lori Gottlieb si proclama femminista convinta. Non è pazza. Si limita a contestare la degenerazione del femminismo da movimento di riscossa sociale a capriccio di oltranziste sentimentali che si sentono in dovere di avere tutto. Non è nemmeno l’unica. Nel suo intervento allo scorso Festival Filosofia di Modena la sociologa israeliana Eva Illouz ha ribadito con forza l’esigenza di ritornare a Jane Austen, ossia a una società in cui i vari gradini del corteggiamento erano scanditi da riti collettivi. In questa maniera a ogni comportamento del corteggiatore veniva associato un significato preciso e tutto ciò che faceva o non faceva veniva giudicato da una comunità familiare e locale che fungeva da protezione per la corteggiata, rendendo la sofferenza amorosa più rara e comunque superabile. Non a caso nessuna eroina di Jane Austen va a bere cappuccini in Indonesia. La perdita del codice prestabilito di corteggiamento, spacciata per conquista del progresso e parità sociale, ha causato l’individualizzazione della sofferenza: ogni persona ritiene di doversi allineare a un ideale inesistente che definisce “ciò che io sono veramente” o “ciò che io veramente provo”, eleggendo a legge universale i propri capricci e pretendendo che il corteggiatore o la corteggiata vi si adeguino all’istante. Così finisce che nessuno si accontenta e ogni possibile partner viene scartato per lesa maestà individuale. Eva Illouz auspicava pertanto che corteggiatori e corteggiate riuscissero a definirsi meno come individui e più come membri di una comunità, e a regolare la propria vita sentimentale prendendo in considerazione anche le esigenze altrui, almeno saltuariamente. Meno psicanalisi e più sociologia era la sua ricetta contro la “fobia da legame”, che da tutt’altro percorso portava esattamente alle conclusioni raggiunte da Lori Gottlieb.

Una soluzione è a portata di mano: basterebbe reintrodurre nel nostro lessico la parolaccia “zitella”. Come le streghe sono sparite quando si è smesso di metterle al rogo, da quando la gente ha smesso di sposarsi sono sparite le zitelle. Oggi tutte le donne non sposate si dichiarano single, felici e completamente padrone della propria vita, esattamente come la Perpetua di Don Abbondio che aveva rifiutato tutti i suoi corteggiatori perché non erano alla sua altezza. Se le single tornassero zitelle, nessuna quarantacinquenne si vergognerebbe di sentire la mancanza di un marito.

Diceva Maupassant che il momento più bello dell’amore è salire le scale della casa dell’amata. Per salire le scale sono necessari un livello di partenza ben preciso, dei gradini progressivamente crescenti e un punto d’arrivo sicuro e accogliente. Se si tolgono i gradini si ha l’illusione che tutto sia sullo stesso piano e più facile da raggiungere, ma in realtà la scalata sarebbe sostituita da un baratro, da un buco nero. Allora delle nostre vite sentimentali individualizzate, idealizzate e isteriche resteranno soltanto orgoglio e precipizio.