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Il regista Stephen Frears ha ammesso di non avere pensato di poter trarre un film da Tamara Drewe mentre lo leggeva a puntate ma solo quando l’ha visto in volume. Ora che la riduzione cinematografica del romanzo a fumetti di Posy Simmonds arriva in Italia insieme alla traduzione edita da Nottetempo, si può riflettere sulle implicazioni delle sue dichiarazioni. Frears ha di fatto sottinteso che la rilegatura ha dato al fumetto un valore aggiunto, ossia che la forma-libro è stata fondamentale nel risaltarne la dignità letteraria. In realtà già la collocazione originaria di Tamara Drewe, pubblicato ogni sabato nel 2005 sul dorsetto delle recensioni del Guardian, denotava una certa attenzione al contesto nel quale l’opera sarebbe stata letta: mimetizzandola in pagine eminentemente letterarie, la Simmonds intendeva rivolgersi a un pubblico presumibilmente capace di riconoscere la letteratura a colpo d’occhio. Per questo ha riempito Tamara Drewe di riferimenti colti nella trama e nella forma, che sembrano fondersi nell’interrogativo rivolto ai lettori meno ingenui: quello che avete per le mani è davvero un libro o no? Indizi sparsi qua e là concordano a una risposta affermativa. Le didascalie sono preminenti rispetto al parlato dei personaggi, tanto che da alcune pagine si ricava l’impressione di un romanzo illustrato con l’immagine ancella della descrizione. Gli autori delle didascalie sono tre personaggi secondari, secondo un artificio indubbiamente romanzesco che è uno dei principali rovelli dei romanzieri contemporanei, preoccupati di come rendere verosimile l’espressione di un punto di vista interno alla storia. Al riguardo un precedente sicuramente noto all’autrice è Pensieri, pensieri di David Lodge (2002), nel quale si racconta dall’interno l’arrivo di una piacente scrittrice in un immaginario campus, mentre in Tamara Drewe la protagonista è una giornalista con velleità da romanziera che torna nella sua residenza di campagna adiacente a un cottage affittato a scrittori in cerca di pace creativa. Posy Simmonds risolve brillantemente la questione del punto di vista interno affidando l’architrave della trama a varie incarnazioni del testo scritto: annunci commerciali, volantini, rubriche su quotidiani, interviste, lettere, inviti, mail, pagine di rotocalchi scandalistici, appunti presi a matita, sms e prime pagine di tabloid, ovvero una vasta gamma di prose che richiede notevole versatilità stilistica. L’annuncio su cui si apre la prima pagina di Tamara Drewe si intintola “Lontano dalla pazza folla”, chiaro riferimento al romanzo di Thomas Hardy che ne fornisce la struttura: un’ex bimba bruttina, di molto abbellita, si rifugia in campagna e viene corteggiata da tre rivali. Trasformando Bathsheba Everdene in Tamara Drewe, e trasponendola su un piano metaromanzesco in cui i personaggi stessi sono scrittori in grande o in piccolo, la Simmonds lancia al lettore colto la sfida a inseguire la dignità letteraria di ciò che a prima vista non sembrava nemmeno un libro, e che la assume non appena acquisisce tradizionali copertina e rilegatura. A pensarci bene, se Frears non avesse letto Tamara Drewe in volume ma sull’iPad, mai gli sarebbe saltato in mente di farne un film.