mercoledì 31 dicembre 2014

Non è curioso che le due donne più citate sui giornali inglesi a dicembre abbiano vite di stampo opposto congiunte da una sola parola? Una è Libby Lane, prossima alla nomina a vescovo anglicano, annunciata con grande clamore da Downing Street poiché si tratta della prima donna che ascenderà al soglio episcopale. L’altra è Natasha Bolter, già candidata senza successo dell’Ukip a Westminster, la quale ha accusato di molestie sessuali il segretario generale del partito Roger Bird. La parola che hanno in comune è “Oxford”.

Al St Peter’s College di Oxford Libby Lane ha conosciuto suo marito e insieme hanno maturato la scelta di diventare sacerdoti, entrambi. Lì non solo ha scoperto la fede che non era molto praticata dai genitori ma soprattutto si è convinta che “i preti debbano apportare al ministero che esercitano un valore aggiunto individuale”, frase che sostituendo “ricercatori” a “preti” e “scienza” a “ministero” può essere riciclata nelle brochure promozionali della prestigiosa università. A Oxford, poco dopo l’adolescenza, Libby Lane ha ricevuto la vocazione a un ruolo ancora inesistente, visto che solo nel 1994 la Chiesa d’Inghilterra ha aperto il sacerdozio alle donne; infatti, non appena è stato possibile, lei e il marito hanno deciso di farsi ordinare simultaneamente. Il Daily Telegraph informa che sulla loro casella postale campeggia il titolo “Reverendo e Reverenda” e che la carriera dei coniugi Lane, sbocciata nella città universitaria che fonde tradizionalismo accademico e avanguardismo etico, è uno snodo chiave nel passaggio del femminismo dalle barricate alla stanza dei bottoni.

Alunna del Wadham College di Oxford si è orgogliosamente proclamata Natasha Bolter, che ha voluto trasformare il proprio caso (il capo ci prova, lei forse ci sta o forse no ma comunque spiffera tutto alla stampa) in un “tipico esempio della cultura sessista interna all’Ukip e della sua rutinaria reificazione della donna” – per usare le parole di un Matthew d’Ancona pressoché idrofobo sul New York Times. Non sorprende: a Oxford è stata progressivamente maturata un’ossessione politicamente corretta per la lotta alle molestie sessuali, naturalmente correlata al riconoscimento paritario del ruolo della donna eccetera eccetera, e culminata nell’affissione nelle bacheche dei dipartimenti di severissimi cartelli che ammoniscono di non tenere con colleghe o alunne comportamenti che possano venire interpretati come ambigui, equiparando un complimento fuggevole a un’animosa pacca sul culo. Divertiva in particolar modo l’affissione di questo cartello nel centro per gli studi ebraici che si trovava nella tenuta di campagna di Yarnton, isolata e popolata per lo più da rabbini ultraortodossi.


Purtroppo da una scorsa veloce ai registri dell’università è emerso che nessuna Natasha Bolter è mai stata alunna di Oxford, dettaglio che potrebbe gettare qualche ombra sulla veridicità delle accuse a Bird (comunque rimosso dall’incarico) ma che  d’Ancona non ritiene molto rilevante. Per lui pesa di più il fatto che “i politici dell’Ukip facciano pubblici commenti reazionari su donne, stranieri, omosessuali e minoranze etniche”, ragion per cui l’accusa della Bolter è da considerarsi vera anche in assenza di concretezza; per altri pesano di più i messaggi espliciti che lei mandava a lui con grande spregio dell’ortografia. Ciò detto, è significativo che la Bolter si sia sentita in diritto di farsi scudo politicamente corretto di Oxford: in certi casi più dei fatti conta il principio e basta il pensiero, ovviamente unico.