mercoledì 8 luglio 2015
Avete comprato la ristampa del primo numero di Linus in allegato a Repubblica? Compratela. Costa cinque euri ma vale quanto un libro e soprattutto serve a dimostrare che cinquant'anni fa la civiltà italiana era più avanzata di oggi. Direte: bella forza, inizia col dialogo pop sul fumetto fra Eco, Del Buono e Vittorini, che per due terzi oggi non ci sono più; non è tuttavia questo il motivo. Allora la dettagliata guida ai Peanuts scritta da Bruno Cavallone, che dedica ai tratti salienti dei personaggi di Schulz un'attenzione ai limiti del proustiano? Nemmeno. Allora cosa? La magistrale storia di Braccio di Ferro in cui Poldo convince delle arpie di essere diventate belle col solo ripetere loro che lo sono, dopo averne ficcato la testa in un secchio di fango? Il tentativo di tradurre Li'l Abner in un italiano che saltelli allo stesso ritmo dello slang? Il tratto naif di Krazy Kat, una trama beckettiana in cui un cane ama un gatto che lo respinge perché ama un topo da cui riceve regolarmente mattonate sulla nuca? Neanche, neanche, neanche. Tutto ciò contribuisce a fare di Linus una rivista di qualità superiore ma solo una cosa mi fa rimpiangere di star vivendo nel 2015 anziché nel 1965: in un articolo non c'è bisogno di note per spiegare chi sia l'immortale Uriah Heep; invece ce n'è bisogno per spiegare cos'è Halloween.