Bene, oggi prendo e vado a lavorare a Cambridge per un mesetto. Ciao. Mia madre, dal 1998 sempre attenta ai miei spostamenti, mi ha domandato perché non andassi piuttosto a Oxford, visto che ci avevo già vissuto e lavorato per due anni e mezzo; la domanda è saggia ma la risposta si trova già in un mio pezzo uscito sul Foglio nel settembre di cinque anni fa, subito dopo che Cambridge aveva superato Oxford e Harvard in vetta alla classifica delle migliori università del mondo:
Infilare le università in una graduatoria mondiale non ha molto senso perché la loro qualità andrebbe calcolata sul beneficio che ciascuna facoltà o dipartimento può garantire a ogni singolo alunno. Per questo i QS World University Rankings hanno risultati discutibili: Oxford peggio dell’University College London? L’École Normale Superieure trentatreesima? Bologna e La Sapienza uniche due università italiane decenti? Fra le righe la graduatoria fornisce anche un’importante indicazione per il futuro delle accademie. Sulle duecento università eccellenti, la prima non anglofona è Zurigo al diciottesimo posto, quelle francofone arrancano, le italofone sono disperse. Si è creata una lega stabile di sedi nelle quali circola un vortice pubblicazioni accademiche in inglese, che traggono affidabilità e prestigio da pareri favorevoli incrociati. Triste ammetterlo, ma pubblicare in italiano significa condannarsi alla periferia dell’Impero.
Se c’è una cosa sulla quale non mi sento di discutere è il primato di Cambridge, che finalmente quest’anno scavalca Harvard e ristabilisce l’ordine naturale del creato. Chiunque sia passato per Cambridge deve riconoscere (o ammettere a denti stretti, se viene da Oxford) che il primo posto è sacrosanto. È scritto nei muri della stessa città, nella sua cristallina coerenza architettonica. Cambridge non è una cittadella universitaria rinchiusa all’interno di una città che nel migliore dei casi la ignora e nel peggiore la osteggia; non è sgranata in infiniti dipartimenti e college distanti chilometri l’uno dall’altro. A Cambridge l’università è la città. Nella strada principale del centro, uno accanto all’altro si passano in rassegna i college più importanti: da nord a sud il St John’s, il Trinity, il King’s, ognuno con la sua peculiare costruzione che però non fa a pugni con il resto ma sembra volerlo completare, aggiungere qualcosa al tutto senza subissarlo. Nel quadrato costruito su quella strada dritta, che cambia nome a seconda del collegio davanti a cui passa, studenti e professori trovano tutto ciò di cui possono avere bisogno: supermercato, libreria, pub, centro commerciale, discoteca, biroccino che vende gli hot dog e senato accademico. Tutto il centro si percorre in lungo e in largo nel giro di dieci minuti. Uno può perdere così poco tempo che finisce per studiare con gioia.
È il fiume a sancire la coerenza di Cambridge. Oxford ne ha tre ma sono disposti malissimo. Il Cam invece passa parallelo alla strada principale attraversando i college e separandone la parte antica dalla parte nuova, generalmente ottocentesca, e da quella nuovissima dietro la quale si estendono i backs, ossia gli infiniti prati che ricongiungono il retro dei vari college in un’unica passeggiata. Né è una passeggiata di mero piacere: dai backs si percorre la strada più breve per arrivare alla University Library, il giardino proibito che custodisce tutto ciò che bisogna sapere.
La University Library è il motivo per cui Cambridge, classifiche o no, sarà sempre e inevitabilmente la migliore università al mondo. Consta di due ali di sei piani ciascuna, separate da un torracchione in stile anni ’30 nel quale sono nascosti i libri preziosi o rari, che possono venire ordinati online e vengono consegnati nel giro di una mezz’oretta, con tante scuse per il rallentamento degli studi. Nelle due ali, divise per aree tematiche, i volumi sono disposti su scaffali ravvicinatissimi, che consentono il passaggio a una persona per volta e contengono tutto ciò che si possa desiderare di leggere. Essendo ad accesso libero permettono di avventurarsi in passeggiate tematiche in cui si scopre sempre la pubblicazione che non si conosce e si inizia a studiare qualcosa di nuovo mossi dalla curiosità e non dalla necessità. Questa è la grande differenza con altre università a scaffale chiuso: altrove bisogna sapere a priori cosa si sta cercando sul catalogo e quindi la propria ricerca consiste in un cauto ampliamento delle nozioni di partenza. A Cambridge invece il sapere ti salta addosso: si può entrare in biblioteca totalmente ignoranti e uscirne qualche anno dopo sapendo tutto.