Papa Francesco torna dal Paraguay e io non posso che invitarvi a celebrare la visita del primo pontefice gesuita nella nazione che i gesuiti governarono e di fatto inventarono - instaurando nel 1580 delle reducciones in cui cercarono di impiantare sugli indios, fino ad allora allo stato brado, la forma mentis occidentale - leggendo il capitolo della storia universale che Voltaire dedicò specificatamente a "Il Paraguay: la dominazione dei gesuiti in questa parte della terra e le loro dispute con spagnoli e portoghesi". Purtroppo non esiste traduzione di questo libro avventuroso e filante che sarebbe un'ideale lettura estiva, quindi dovrete cercarlo nell'originale francese: si intitola Essai sur les moeurs e il capitolo è il 154.
Apprenderete che per Voltaire il vasto programma dei gesuiti in Paraguay - prendere dei selvaggi e insegnare loro i concetti sconosciuti di tempo, famiglia, lavoro, architettura, nonché i fondamentali della religione cattolica - è "il trionfo dell'umanità". Ai gesuiti riconosce il grande merito "di avere trovato popolazioni selvagge e di averle civilizzate; di averle rese industriose per mezzo dell'istruzione e della persuasione". Lì dove c'erano solo accoppiamenti casuali e cibo quando capitava i gesuiti hanno creato una società. Forse è il più grande monumento al talento gesuitico mai eretto da uno scrittore ostile.
Nondimeno, continua Voltaire, questo "governo unico sulla faccia della terra" è un governo assoluto, l'ultima e più compiuta teocrazia della storia, in cui gli indios sono "schiavi dei gesuiti" e "sudditi dei loro benefattori", legati a doppio filo da una dipendenza che li porta a combattere al loro comando contro gli eserciti di Spagna e Portogallo, rivali in Europa ma in Sudamerica alleati contro lo strapotere della Compagnia di Gesù. E dove trovavano le armi i selvaggi? Facilissimo: i gesuiti insegnavano agli indios a fabbricarle e poi gliele requisivano, salvo riconsegnarle alla vigilia delle battaglie. Questo rendeva i reverendi padri "i re meglio obbediti sulla terra".
Non solo: il Paraguay è stato forse il primo tentativo di comunismo dell'era moderna, grazie all'idea che ciascuno doveva vivere nella casa che s'era fabbricato mentre derrate e beni di prima necessità erano accatastati in magazzini e poi distribuiti dai gesuiti secondo l'equità dei bisogni. Il primo ma non il più riuscito, però, se Voltaire scrive nel Candido che l'economia del Paraguay si basa sul fatto che "los padres hanno tutto e il popolo non ha niente". Come in tutti i comunismi, i gesuiti avevano anche organizzato un capillare sistema di spionaggio, rigidamente gerarchico, così che fossero gli stessi indios a riferire ai missionari cosa facessero gli altri indios che si trovavano sotto il loro controllo; ma i paraguaiani, ed è l'effetto più sbalordente di quest'esperimento politico estremo, erano felicissimi.
Queste notiziole vi sembreranno bastevoli. Se volete saperne di più, potete rileggere il paginone che avevo dedicato al Paraguay sul Foglio, sotto il titolo "I gesuiti al governo". Se volete esagerare, sappiate che in luglio esce sulla rivista napoletana Studi Filosofici un mio approfondito saggio intitolato "Una polemica di Voltaire contro i gesuiti: il caso delle fonti sul Paraguay", ottimo di questa stagione in cui non sempre si riesce a prendere sonno. Se l'argomento vi appassiona, c'è sempre l'autorevolissimo libro L'invenzione del Paraguay di Girolamo Imbruglia (Bibliopolis, 1983); se vi incuriosisce ma non avete tempo, potete sempre guardare il film Mission e un'idea ve la sarete fatta.
Ah, vi svelo il finale: Voltaire scrive il capitolo sul Paraguay nel 1761 ma poi è costretto a cambiare tutto perché nel 1766 l'espulsione dei gesuiti dalla Spagna li fa cacciare anche dai possedimenti d'oltremare, facendoli rientrare dal Sudamerica ed esautorandoli nella nazione stessa che avevano creato loro. Pochi anni dopo la Compagnia di Gesù sarà sciolta da Clemente XIV, l'ultimo papa francescano: e così il cerchio si chiude.