giovedì 29 ottobre 2015

Siccome non ci credevo dopo averlo letto sul Corriere della Sera, ho controllato anche sulla Stampa e perfino su Repubblica scoprendo che - se tre fonti fanno una prova - Raffaele Cantone ha davvero detto che Milano è la capitale morale d'Italia perché a Roma mancano gli anticorpi morali contro la corruzione. Mi sono riemersi ricordi vaghi di una trasmissione di un quarto di secolo fa i cui inviati fermavano per strada la gggente chiedendo di spiegare esattamente il significato di espressioni invalse nella routine del gergo giornalistico: ed ecco una signora spiegare con sussiego, sopra risate registrate in studio, che Milano era la capitale morale d'Italia perché c'era più moralità.

Voi vi accapigliate sull'inedita e trascinante questione se Milano sia meglio di Roma in base al parere personale di un magistrato (che, detto fra parentesi, non essendo cattolico ha dunque diritto a esprimere pareri personali che vengono commentati con ammirazione e rispetto per la sua autorità, mentre se fosse stato cattolico l'avreste preso a pedate in faccia perché i magistrati non devono esprimere opinioni); io invece traggo da questa storia due conseguenze. Anzitutto che aveva ragione Patrizia Valduga quando scriveva già in tempi non sospetti l'endecasillabo "Italiani, imparate l'italiano". Se nessuno alza il ditino per far notare che il senso di "capitale morale" è lo stesso di "vincitore morale" e dunque ha tutto a che fare con meriti contratti de facto e nulla col concetto etico un po' peloso di "anticorpi morali", vuol dire che rispetto ai tempi in cui la signora ignorante che la pensava come Cantone causava crasse risate gli italiani hanno smesso di sapere l'italiano: effetto forse collaterale ma certo inevitabile dell'avvento di vitelli d'oro linguisticamente ibridi come l'internet e l'euro - diceva l'immenso Geminello Alvi che l'euro era stato introdotto dagli italiani stanchi della dominazione italiana sull'Italia.

In secondo luogo, passando al livello delle implicazioni sociali dell'uso della lingua, il plauso a Cantone e il conseguente vacuo dibattito indicano che è variato il metro di giudizio delle azioni. Prima gli italiani esaltavano ciò che era luccicante o nobile: il vincitore morale, la Milano da bere e così via; adesso esaltano ciò che è etico e corretto. Ci siamo ridotti ad avere la stessa concezione del bello che a metà Cinquecento poteva avere un calvinista presbite delle valli svizzere. Venticinque anni non sono molti ma per l'Italia sono stati troppi. Ieri la signora che travisava il senso di "capitale morale" veniva sbertucciata in tv con ogni ragione; oggi al lessico confusionario di un magistrato si dedicano ossequiose lenzuolate sui quotidiani. Raffaele Cantone è la giusta guida per l'Italia che finisce.