(martedì 19 dicembre 2006, copyright Il Resto del Pallone)
Innanzitutto rivoglio la Coppa Intercontinentale, quella vera con la partita secca fra campioni d’Europa e di Sudamerica, ché gli incontri con altre squadre assurde dal nome impronunciabile e dagli schemi difensivi altamente improbabili diluiscono il fascino della competizione e la fanno sembrare una fidanzata che si presenta agli appuntamenti accompagnata da sorelle e cugine per far numero. Rivoglio la levataccia alle quattro della domenica mattina per vedere in diretta televisiva e in chiaro Platini mollemente sdraiato sotto la neve o il superfluo e artistico volo d’angelo di Rijkaard. Poi, inclusa nel pacchetto, rivoglio la Coppa delle Coppe, che aveva un suo intrinseco senso - non trovate? - se si pensa che faceva scontrare a eliminazione diretta le squadre specializzate nella vittoria di tornei a eliminazione diretta, tipo la Sampdoria o, se ci abbandoniamo a gusti esotici, il Malines o KV Mechelen che dir si voglia. Già che stiamo, rivoglio anche la Coppa UEFA con sessantaquattro squadre (solide: la Roma, il Barcellona, il Manchester United, tutte seconde e terze classificate, non chiamate a caso dalla mezza classifica) e con doppia finale, senza ridicole fasi a gironi-sola-andata al termine delle quali giocatori e allenatori non hanno ancora capito se si sono qualificati o meno e pertanto, di fronte al giornalista che li intervista, abbozzano. Rivoglio la Coppa Italia, fecondo terreno di sperimentazioni (tre punti per la vittoria, rigori senza supplementari, differenza reti e ripescaggi astrusi sono tutti nati lì), zona franca per sbrigliare la fantasia e lasciar divertire i bambini facendo tuttavia arrivare in fondo squadre spettacolari e ciniche (la Juve e il Milan, la Roma e il Torino, la Sampdoria e il Napoli), e non tortura invernale che squassa i garretti dei destrieri, snobbata in favore di più fumosi traguardi e per ciò stesso reiteratamente vinta dall’Inter. Della Supercoppa Italiana e della diafana Supercoppa Europea d’agosto, invece, farei volentieri a meno in cambio (bisogna sempre contrattare) di una Serie A a sedici squadre; nemmeno diciotto, ché già allora ce n’era sempre qualcuna, tipo l’Udinese, pronta a retrocedere e a venir promossa ad anni alterni. Rivoglio la compatta Serie A domenicale che segue il corso del sole (d’inverno si inizia alle 14:30, se no si gela; d’estate si inizia alle 16:30, se no si crepa) e che costringe a montare in fretta e furia tutte le sintesi nel tardo pomeriggio, dopo di che il resto è replica e approfondimento, niente di nuovo sotto il sole tramontato. Rivoglio la Juventus dove Dio comanda. Rivoglio le maglie bianche per le trasferte cromaticamente problematiche, e non pigiami grigiolini o carnevalate fucsia o camuffi catarifrangenti. Rivoglio le amichevoli estive contro la Villarcidese o la Pieve di Castro e rinunzio volentieri ad arrivare a settembre con già tre Milan-Inter alle spalle. Altrettanto respingo da me l’insensata Confederations Cup, lo stucchevole FIFA World Player e tutta l’annessa processione di nomi turchi, compresa la Champions League coi pachidermici gironi e le torte sovranazionali. Rivoglio la Coppa dei Campioni liscia: trentadue nazioni, una squadra ciascuna, adrenalinica eliminazione diretta e angoscia da primo turno, sospesi fra la speranza che venga sorteggiato lo Sliema Wanderers e il terrore che dall’urna si materializzi il Real Madrid. Rivoglio i Mondiali a ventiquattro squadre (più Olanda, meno Corea) e gli Europei a otto, con annesso thrilling nel girone di qualificazione: o si arriva primi o non si arriva affatto, nel calcio non si deve rimandare a domani la partita che si può vincere oggi. Rivoglio un sacco di altre cose, collateralmente: la Gazzetta dello Sport che macchia le mani colpevoli di starla impugnando a scuola, dieci pagine di TuttoCoppe sul Guerin Sportivo, la terminologia che chiama terzino il terzino e non esterno basso fluidificante che rientra, il pudore di non indossare lo sponsor durante le finali di coppa, le amichevoli della Nazionale giocate alle tre del pomeriggio, i cronisti che per far capire una partita non avevano bisogno di commentatori tecnici. Per finire, rivolevo Matarrese che in vent’anni alla Lega, alla Federcalcio e alla FIFA aveva fatto bene o male funzionare come un orologio l’anarchico calcio nostrano che senza di lui s’è squacquerato: e Matarrese l’ho riavuto, ora speriamo tutto il resto.
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