Per dire quattro parole e sbagliarle tutte ci vuole indubbiamente un certo talento, che rientra senza dubbio nel (per fortuna di più ampio spettro) novero di talenti della ministra Emma Bonino. La quale un paio di sere fa, durante il Tg1 che cerco di seguire anche da queste piovose latitudini, ha dichiarato che la manifestazione di Coraggio Laico, ossia il piccolo carnevale di piazza Navona, intendeva tutelare i diritti di chiunque volesse scegliere come organizzare i propri affetti. Questo è in grande linee il succo del suo discorso, ma le ultime quattro parole (comprensive di articolo determinativo) sono una citazione testuale, e sono tutte sbagliate.
1. Come – Poniamo caso che la ministra Bonino entri nella libreria QI di Oxford (16 Turl Street, io ci sono passato sabato pomeriggio). Tale libreria è ampiamente applaudita negli ambienti intelligenti perché non cataloga i libri secondo nessun ordine tradizionale: non per autore, non per genere, non per editore, non lo snervante benché funzionale sistema Dewey. La ministra Bonino avrebbe dunque una certa difficoltà a orientarsi e a comperare, ad esempio, Alla Ricerca del Tempo Perduto. Apprenderebbe magari dai commessi che i sette volumi in questione sono così ripartiti: uno nel settore dei romanzi francesi, uno in quello dei classici del novecento, uno fra i capolavori dell’omoerotismo latente, uno fra le autobiografie, uno fra gli scritti di autori coi baffi, uno fra i testi più lunghi di mille pagine e uno fra i libri composti di più volumi. E questo già sarebbe abbastanza razionale, poiché invece lo scopo ultimo della libreria QI, edificata col preciso intento di trovare un’impostazione originale per la catalogazione dei libri, è far venire il giramento di testa ai clienti, cosa cui collabora non poco la sua struttura circolare. Se fosse entrata nella libreria QI di Oxford (16 Turl Street, io non ci andrò mai più), la ministra Bonino avrebbe capito che i DICO sono un’idea marcia come la pretesa di sistemare i libri secondo un ordinamento non codificato – o peggio ancora di codificare un ordinamento irragionevole – e che al confronto il matrimonio, con tutti i suoi difetti, è stabile come l’ordine alfabetico: che farà capitare Luciano De Crescenzo vicino a Don De Lillo, ma almeno ogni cosa è al proprio posto.
2. Organizzare – “Pronto, picci, sono Gurrado, dobbiamo organizzare il nostro affetto.” “Gurrado, ma che minchia dici mai?” “Giuraddio, l’ha detto la ministra Bonino al telegiornale, l’ho sentito con quest’orecchio”. E così via in un gran trambusto di organizzazione d’affetti, dalle fidanzate di là da venire ai passanti che saluto per strada, dagli uffici stampa delle case editrici a chi mi chiama perché ha sbagliato numero, intere caterve di relazioni a ragnatela che vanno ordinate, sistematizzate, classificate. La bizzarria dei DICO è che fanno passare per libertaria (e libertina) una legge che invece cancella ogni poesia dell’indefinito; un’idea stalinista per cui Gurrado e picci devono mandarsi tutta una serie di lettere raccomandate per spiegarsi nei minimi dettagli che relazione intercorre fra le loro due persone giuridiche. Quando un ministro, o una ministra, utilizza il termine organizzare per parlare delle vite private dei suoi elettori, insomma, qualcosa non quadra, non mi sembra che ci sia bisogno di dilungarsi.
3. I propri – Qui casca la ministra, e io mi dilungo. Perché la principale differenza fra il milione all’incirca del Family Day e i tre partecipanti di Coraggio Laico era (beninteso, stiamo parlando dell’idea generale sottesa a ciascuna delle manifestazioni) che i secondi pensano all’orticello di diritti e i primi al giardino di doveri. Non sono così scemo da ritenere che fosse un concetto condiviso da chiunque in Piazza San Giovanni, né tantomeno che ogni manifestante del Family Day abbia vissuto integerrimamente secondo questo principio aureo, ma grossomodo difendere l’esistenza e l’unicità della famiglia (maschietto + femminuccia = bambinelli) significa farla rientrare in un quadro che pieghi la volontà personale e sacrifichi i capricci adolescenziali a un bene comune che si riconosce più alto. Più alto innanzitutto perché – come raffigurato dalla croce che qui sopra unisce il maschietto alla femminuccia – una promessa assume maggior significato se controfirmata dal sovrumano (tradotto, una cosa è dire che Gurrado è unito a picci in nome del Padre del Figlio e dello Spirito, un’altra che Gurrado è unito a picci in virtù delle ministre Bonino, Bindi e Pollastrini). E poi, diciamocelo, se invece di Gurrado io fossi picci mi offenderei non poco all’idea che un uomo, in luogo di implorarmi di vivere con lui per tutto il resto della vita nostra e di promettermelo davanti al Padreterno e di accarezzarmi la pancia per nove mesi di fila, mi proponga un succedaneo progressista che suona grossomodo: “Senti, facciamo che ti mando una raccomandata in cui specifico che tu vivi con me ma sei libera di andartene quando vuoi, che i tuoi figli sono anche miei nella misura in cui sono condivisi [i progressisti parlano così, che volete farci] senza che per questo la nostra conformità genitoriale [idem come sopra] diventi un ostacolo alla loro integrazione nella società sovra-ultra-metafamiliare” – aggiungendo subito dopo: “E tieni presente che ti avrei detto queste precise identiche parole se anche tu fossi un uomo e ti chiamassi Arturo”. Ho amiche che non vogliono sposarsi; ho amiche che non vogliono fare figli; tutte costoro, però, vogliono vivere con un uomo e avere dei bambini. Vogliono la pera e non il torsolo, insomma: temono che il matrimonio le annoi e la gravidanza le sfiguri. Ci vorrebbe oggigiorno un poeta barocco che sorgesse in tutta la propria potenza semantica per spiegar loro che, vabbe’, possono non sposarsi ma non possono non invecchiare, possono non avere figli ma non possono non sfigurarsi, e che tutte le ministre Bonino di questo mondo non potranno preservarle da solitudine e decomposizione. Ci sarebbe voluto magari un sacerdote che ai tempi del catechismo, prima che l’iscrizione all’università e la quotidiana lettura della Repubblica avessero fatto il proprio corso, avesse spiegato a chiari termini che se non si decide di fare qualche passo indietro alla fine nessuno farà veri passi avanti verso di noi.
4. Affetti – Declinazione plurale di un termine debole. La ministra Bonino è intelligente e quindi ha capito mentre ancora parlava alle telecamere che un termine forte avrebbe stonato in conclusione del proprio discorsetto, fondato sull’assolutismo relativistico e volto alla sostituzione di un’opzione temporanea a una scelta definitiva (cosa nella quale c’è ben poco coraggio, laico o meno). La ministra Bonino sa le lingue pertanto non si offenderà se mi permetto di tradurre le sue quattro parole in altrettanti termini forti, che trascendono il senso limitato del suo appello, capovolgendolo: la questione non è come organizzare i propri affetti, ma perché garantire l’amore altrui.
PS per mia madre: picci non esiste.
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