giovedì 10 maggio 2007

Essere rossi oggi

Nel giro di poche ore l’Inghilterra tutta è stata scossa da due avvenimenti difformi ma speculari, oltre che estremamente indicativi. È bastato guardare un po’ di tv e tutt’al più leggere un quotidiano per rendersene conto.

Immagino che anche in Italia sia arrivata l’eco del bel gesto reso dal Chelsea prima della partita contro il Manchester United. I blu di Londra, secondi alle spalle dei rossi del nordovest, hanno reso omaggio ai freschi vincitori del campionato disponendosi su due file parallele e applaudendo i giocatori avversari mentre uscivano dallo spogliatoio. Ammirevole invero, e immagino i peana che si saranno alzati sulle reti televisive nostrane a magnificare lo spirito olimpico e il modello inglese e fregnacce varie. Se non che non poteva sfuggire il dettaglio che il diabolico Sir Alex Ferguson ha fatto spuntare dagli spogliatoi una squadra farlocca, imbottita di riserve inverosimili – dite la verità, voi lo sapevate che nel Manchester United giocava O’Shea? E Kuzsack? O, peggio ancora, lo sapevate che il cinese Dong, temerariamente schierato come prima punta, fosse pagato per giocare a calcio?

La faccia di John Terry, capitano del Chelsea e della nazionale inglese, era tutta un programma: costretto, poverino, ad applaudire pubblicamente una manica di sconosciuti che sei mesi prima avevano ancora il suo poster appeso in camera. Il diabolico Sir Alex Ferguson (lo stesso che, per intenderci, aveva genialmente staccato il biglietto per Atene prima di giocare la semifinale di ritorno col Milan) avrebbe potuto farla più grossa soltanto facendo comparire sul campo, fra le due ali blu dei plaudenti giocatori del Chelsea, undici manichini con le rotelle (uno a caso dei quali sarebbe tuttavia stato più utile alla squadra del surreale cinese Dong).

La stessa identica cosa è accaduta oggi pomeriggio, quando Tony Blair ha annunciato l’annunciato annuncio del suo ritiro dalla scena politica. I numeri sono tutti dalla sua parte: tredici anni alla guida del Labour, più giovane leader del partito in assoluto, gli ha fatto vincere le elezioni per la prima volta dopo diciott’anni, ne ha vinte tre di fila, ha governato per dieci anni, è stato il più giovane primo ministro della storia inglese a parte lord Liverpool, che comunque aveva come interlocutore privilegiato Napoleone e non Chirac, quindi erano decisamente altri tempi. Perfino agli occhi della politica inglese – molto più snella e ragionevole di quella italiana – la parabola di Blair è apparsa sorprendente e quasi miracolosa, così come sorprendente e miracoloso è stato il titolo vinto quest’anno, più che convincentemente e contro ogni pronostico, dal Manchester United. D’altra parte sempre di color rosso si tratta.

La Storia gli avrebbe dovuto riservare tutt’altro congedo. Se non che oggi pomeriggio, rinchiuso nel suo quartier generale come Hitler nel suo bunker, Tony Blair aspirava a somigliare a Churchill ma sembrava Dong, uno che con suo stesso stupore raccoglie applausi e ovazioni soltanto perché sta indossando per puro caso una maglia e degli onori altrui. Innanzitutto questo benedetto annuncio dell’addio è stato annunciato troppe volte, e dalle elezioni del 2005 non si faceva altro che dire: “Vedrete, si dimetterà nell’estate 2007” – come volevasi dimostrare. Di più, mai come questa volta Tony Blair (che pure ha un passato da attore di teatro) ha sbagliato i tempi rimandando l’inchino – come scriveva il Daily Telegraph stamattina – al momento in cui il pubblico è già andato via e restano solo le cartacce sul pavimento. Per aggiungere la beffa al danno, nel question-time presidenziale di ieri David Cameron, il giovane e bel leader dei giovani e bei conservatori, ha apostrofato il gabinetto Blair come “il governo dei morti viventi”; né si può dargli torto, visto che il primo ministro si sta spegnendo piano piano da un paio d’anni, il ministro degli interni (John Reid) s’è dimesso qualche giorno fa, il ministro dell’Europa Geoff Hoon è l’uomo più sbertucciato dai media inglesi già da quand’era capogruppo nel 2003 – e soprattutto visto che il ministro delle finanze Gordon Brown, successore designato di Blair, viene visto dagli inglesi e dai laburisti stessi come una fetta di bacon negli occhi. Evviva.

David Cameron avrà mille difetti; sarà vanesio, sarà ingenuo, sarà per certi versi troppo entusiasta rispetto ai gusti di queste piovose latitudini; dovrà inoltre prima o poi scontare la pena per essersi fatto propagandisticamente fotografare in metropolitana mentre leggeva l’ultimo romanzo di Ian McEwan (Ian McEwan! In metropolitana! Come se fosse un Veltroni qualunque!). Tuttavia bisogna dargli atto che un anno e mezzo fa, intervenendo nel suo primo question-time presidenziale, inchiodò Tony Blair alla profezia che oggi si realizza, e che recitava: “You were the future once”, “Lei era il futuro di tanto tempo fa”. Ieri pomeriggio, se non avesse avuto pietà, gli avrebbe anche potuto dire: “Lei è come il Manchester United, festeggia il campionato dopo aver parlato per mesi della Champions League”.

(Nota per i patrioti: sottolineo come questi pochi capoversi avrebbero agevolmente potuto essere dedicati al parallelo fra l’ambrosiana Inter, che manifesta la propria schiacciante superiorità perdendo 6-2 con la Roma, e il governo in carica che ribadisce la propria saldezza squacquerandosi nel giro di ventiquattr’ore su pensioni e famiglia. Avrei potuto, e molto facilmente; ciò nondimeno, poiché fra qualche mese dovrò pur trovar lavoro, non l’ho fatto: quindi, Romano, ricordati degli amici!)

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