I am also called No-More, Too-Late, Farewell.
(Dante Gabriel Rossetti)
Io non m’innamoro facilmente ma per Martina Hingis ho fatto numerose eccezioni, in ragione del comune anno di nascita come della coda di cavallo e del bel paio di dentini coniglieschi che le hanno sempre decorato il volto. Dodicenne io e dodicenne lei, l’ho vista massacrare tardoadolescenti alte il doppio durante tornei juniores che riempivano il vacuo pomeriggio estivo di Rai 3 (e al contempo i vuoti dei miei pomeriggi alle medie). Sedicenni entrambi, iniziando a scrivere sognavo di diventare un dì come lei capofila di un’immaginaria classifica mondiale della produzione letteraria. Quando io mi preparavo agli esami di maturità, maturando lei vinceva in scioltezza tutti i tornei che le capitava di giocare a inizio ’98, incurante che ciò significasse non perdere nemmeno una partita, manco per sbaglio. Se mi laureavo annoiatissimo di quel che studiavo, lei di punto in bianco annunciava il ritiro e a ventidue anni si metteva a fare l’ex giocatrice di tennis un po’ malandata. Portando male i miei ventiquattr’anni, ricominciavo punto e a capo col dottorato di ricerca e lei tornava a calcare campi di varia natura col misto di forza bruta e grazia divina capace di far dimenticare nel giro di mezzo set tutte le pur meritevoli Sharapove di questo mondo, pur sapendo che mai sarebbe tornata quella di prima e comunque consapevole che l’importante era divertirsi, ovviamente a discapito delle avversarie. Nel momento in cui iniziavo a scrivere la tesi mastodontica dando forma compiutamente scientifica al mio pensiero storiografico, senza nemmeno sospettare di averne uno, avrei piuttosto preferito essere l’argenteria inane che la Hingis baciava tornando a vincere a Roma. Ora che la tesi è consegnata e manca un mese esatto alla discussione, e quindi alla fine della lunga prima parte di vita, Martina Hingis convoca una conferenza stampa e si ritira insegnando in un sol colpo, coi suoi bei dentini sporgenti, che a 27 anni si inizia a essere già vecchi, che la vita è fatta anche d’altro e non bisogna tirar troppo corde che si spezzano facilmente, che le grandi battaglie per il bene (“tu, cattiva bambina, hai tirato di coca durante il torneo di Wimbledon”) o per la verità (“io, brava bambina, non so nemmeno di che colore sia fatto un milligrammo di cocaina”) sono da mediocri e lasciano il tempo che trovano, mentre è sempre meglio mantenersi consapevoli dei risultati conseguiti, isolarsi nel recinto della propria eccezionale eccellenza e godersi una meritatissima, lunga, quasi infinita pensione nonché tutto il mio irrevocabile amore (tennis o no, cocaina o no) per l’illustre esponente di un’ottima annata.
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