È meglio sposare una donna ricca, giovane e bella
che un mostro decrepito e senza una lira.
(Massimo Catalano)
Nel corso di un colloquio pubblico fra Salman Rushdie e Terry Gilliam, riportato sul primo volume dell’antologia italiana della rivista The Believer (ISBN edizioni), il visionario regista ex Monty Python racconta la curiosa genesi del suo film Lost in
Leggere un libro non è necessario. Se così fosse, Gilliam non avrebbe potuto avere l’idea di basare un film sul romanzo di Cervantes senza prima averlo letto (il caso poi che non sia riuscito a farlo, e che Lost in
Al riguardo, la recensione ha un ruolo chiave; lo semplifico con un esempio paideutico, mutuato da non so più chi (ah, se prendessi l’abitudine di appuntare le cose interessanti che leggo!). La madre di cinque figli che, andando via di casa, raccomandasse loro di non infilarsi delle fave nelle narici sortisce l’ineludibile effetto che, non appena sentita chiudersi la porta, i cinque figli faranno la gara a chi è più lesto a infilar fave nel naso proprio o altrui. Ragion per cui, una stroncatura rumorosa sortisce l’effetto di far leggere il libro in questione a schiere di lettori deboli che altrimenti resterebbero tranquilli a fare le parole crociate: ho letto recensioni sanguinarie di Moccia e di Dan Brown, e al contempo ho scoperto che sui treni o in fila dal dottore la gente non legge altro. Tornando all’esempio, è evidente che la madre di cinque figli, pur raccomandando loro di non infilarsi le fave nelle narici, non ha mai provveduto a infilarsi ella stessa legumi vari in alcun orifizio, ciò che l’avrebbe fatta venir meno alla propria consegna di tutrice dell’ordine domestico; anzi, si può arguire che la signora madre raccomandi di non infilarsi le fave nelle narici proprio perché non l’ha mai fatto. Idem, è presumibile che una stroncatura di Moccia o di Dan Brown muova dall’evenienza che il recensore in questione non abbia mai letto né l’uno né l’altro; anzi, è auspicabile. Non mi fiderei mai di qualcuno che prima di assicurarmi che i corpi solidi non sono oltrepassabili provasse a lanciarsi tre o quattro volte contro un muro.
Per concludere questa premessa filosofica (a mo’ di scusa per le mie lacune irricuperate), ripesco un episodio autobiografico all’esplicito e unico scopo di far arrabbiare mia madre, non prima di aver specificato che costei legge due o tre romanzi al mese e pertanto dalle statistiche viene, giustamente, ritenuta lettrice forte. Qualche tempo fa le era stato prestato Mille Splendidi Soli di Khaled Hosseini; educatamente mi aveva chiesto se prima che lo restituisse desiderassi leggerlo anch’io, che già ho a che fare con una decina di libri al mese, e che dalle statistiche vengo ritenuto lettore forte quanto lei; tuttavia le avevo risposto prontamente che preferivo di no, perché il romanzo non era un gran che. Ne era seguito il consueto e ragionevole rimbrotto riassumibile in: “Come fai a dire che non è un gran che, se non l’hai letto? Bisogna leggere tutto, eccetera eccetera”. Ciò nondimeno ero rimasto sulle mie posizioni, pur senza vietarle di leggerlo. Dopo che l’ha finito le ho chiesto:
“Allora, ti è piaciuto?”
“Non era un gran che.”
“Pensa, io già lo sapevo due settimane fa.”
Possiamo trarne questo teorema: meno si legge più i libri sembrano tutti uguali, confinati in un empireo inarrivabile, e c’è bisogno di leggerne in tromba per crearsi una distinzione classificatoria necessaria alla sopravvivenza culturale; all’inverso, più si legge più aumenta la chiaroveggenza di fronte a un libro chiuso, che il più delle volte porta alla saggia conclusione che sia meglio non aprirlo. Ne consegue questo corollario: il lettore più forte è quello che riesce a leggere il meno possibile.
(continua)
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