mercoledì 20 febbraio 2008

TuttoCoppe

Ultimamente il Liverpool mi sta dando notevoli soddisfazioni. Verranno a dirvi che è stata colpa dell’arbitro, verranno a dirvi che è stata colpa della malasorte, verranno a dirvi che una partita ogni tanto si può perdere – non credeteci. Liverpool-Inter 2-0 è la controprova di ciò che andavo sostenendo manzonianamente già dieci mesi fa, e cioè che il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. L’Inter potrà vincere quante volte vuole con l’Empoli e con il Pontedera, ma la Coppa dei Campioni non è casa sua: s’è visto ieri dalla tremarella di Anfield Road, dall’aver (forse) sottovalutato un avversario indietro nel campionato inglese e ridicolmente eliminato dalla FA Cup, da (soprattutto) l’endemica incapacità di gestire le partite importanti, sarebbe a dire di rassegnarsi ad avere degli avversari pari livello. L’Inter di quest’anno mi ricorda l’Inter più forte della storia, quella allenata da Helenio Herrera nel 1967: dominò ogni competizione e poi, nel giro dell’ultima settimana, perse la Coppa dei Campioni (contro il Celtic), lo scudetto (contro, ehm, il Mantova) e pure la Coppa Italia (contro, uhm, il Padova). Ad majora.



Diverso, del tutto diverso, è il discorso sulla Roma. Andrei cauto coi trionfalismi dopo la (bella) vittoria su un Real che ha per giunta giocato benone. L’anno scorso l’eccessivo entusiasmo per aver imbrigliato lo United all’Olimpico portò a beccarsi sette sberle all’Old Trafford. Per quanto questa sia una Roma più matura di quella sbarazzina dello scorso anno, giova non dimenticare lo spirito di Juanito. Questi, notevole ala degli anni ’80 ormai passata a dribblare le nuvole, a seguito di una vistosa sconfitta europea in trasferta (tre o quattro goal di scarto, non ricordo) dichiarò: “Novanta minuti al Bernabeu sono molto lunghi”. E lo furono: il Real rimontò il pesante passivo e passò il turno con inaudita forza d'urto. L’ultima volta che lo spirito di Juanito è stato evocato (tanto nel senso di esprit quanto nel senso di fantasma) fu esattamente due anni fa, nel febbraio 2006, in occasione della sconfitta per 1-6 del Real a Saragozza. Al ritorno, il Real iniziò a segnare dopo cinquanta secondi, raddoppiò al quinto minuto e cinque minuti dopo aveva già fatto il terzo. Vinse 4-0 e fu una magnifica sconfitta: la Roma, che ha un solo goal di margine, è più che avvertita.



A scorno degli amici interisti che per stasera danno scontata una vittoria del Milan per 3-0 con tripletta di Kakà, temo che sia più probabile il 3-0 per l’Arsenal con tripletta di Fiori. Magari Kalac ricupererà in tempo, magari pareggeremo decentemente, magari vinceremo addirittura. Il dato di fatto è che il Milan può, fra una cosa e l’altra, permettersi di perdere. La legge dei grandi numeri previene dal vincere la Champions League due anni di fila. In campionato si veleggia verso l’obiettivo minimo a velocità da crociera. Quest’anno sono già state vinte Supercoppa e Intercontinentale (l’Inter, nella stagione in corso, ha vinto Trofeo Tim e Torneo di Viareggio), quindi il cartellino è timbrato. Da stasera in poi, tutto ciò che viene è un regalo.



Chiosa ridanciana. La lite fra Inter e Milan sulla rispettiva superiorità, piuttosto che la storia dell’uovo e della gallina (è meglio essere campioni d’Italia o d’Europa?) mi ricorda una barzelletta che sentii raccontare da Gino Bramieri. Il Milan è come l’ubriaco che prende in giro la signora imbarazzante per la sua bruttezza (non vincere qualcosa di serio dal 1965). L’Inter è come la signora brutta che rimprovera l’ubriaco di essersi ridotto ai minimi termini (distacco abissale in campionato, eliminazione in Coppa Italia, preoccupante carenza di portieri). Al che l’ubriaco risponde alla signora: “Sì, però a me domani passa”.

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