Yelena Isinbaeva, a cui tutto è possibile.
(Attilio Monetti, ieri)
Va bene Pehlps che primeggia nelle specialità di dorso, rana, farfalla, elefante, cavatappi, fritto misto, sarchiapone e tresette; va bene Bolt che quando parte è già arrivato ragion per cui agli ultimi cinquanta-sessanta metri invariabilmente rallenta, si ferma, cammina all'indietro, procede carponi, zompetta su una gamba sola e taglia il traguardo facendo capriole sul naso con le scarpe allacciate fra loro; va bene tutto, ma tutto è niente in confronto a - ancora una volta - Yelena Isinbaeva.
La quale si presenta all'unica finale che la veda in gara con l'aria di chi ha più urgenti affari da sbrigare, assiste con divertita commiserazione ai tentativi preliminari a 4 metri e 30 (4,30! ché lei li salterebbe senz'asta, volendo), vede le sue avversarie ascendere fino a misure pressoché decenti e poi, senza colpo ferire, per senso del dovere salta 4,70 al primo tentativo: lì già sono rimaste in poche a tenerle testa. Dopo di che lascia perdere quando le altre saltano 4,75, lascia perdere quando le ultime tre tentano i 4,80 e di nuovo - risollevandosi dal suo improvvisato giaciglio (stesa immobile sull'erba con un asciugamano in faccia) - provvede a punire l'americana Stuczynski, l'ultima sola che fosse sopravvissuta a quelle altezze, saltando senza apparente difficoltà cinque centimetri più su, 4,85.
E allora ha già vinto l'oro con due saltelli scarsi, perché con tutta la buona volontà la Stuczynski 4,90 non li salterà mai e poi mai, come volevasi dimostrare. Al che, per fare una cosa alla volta e rendere degna di memoria la medaglia salta 4,95 come antipasto (invero un po' difficoltoso, ché ai primi due tentativi le resta sullo stomaco), poi si fa alzare l'asticella a 5,05, dove nessuna mai, e lì ricomincia il suo meraviglioso limbo all'incontrario. Per due volte concede al cielo l'illusione di essere ancora lontano; cade, ride, si lamenta, si nasconde tutta sotto un telone, riemerge, si bisunge le manine, recita il suo segreto rosario e quindi raggiunge il cielo rincorrendolo all'ultimo secondo dell'ultimo tentativo - né si limita a lambirlo, ma ci passa dentro, lo trafigge, minacciando di continuare a portare l'asticella sempre più in alto di un centimetro, di qui all'eternità.
Sarà che - come dicono le mie amiche più moraliste - ci sarà qualcosa di freudiano nel mio infantile entusiasmo per una signorina che maneggia un'asta allo scopo di planare su un materasso; sarà. Se non che da ieri sera chiunque commenti la faccenda non fa che sottolineare quant'è bella 'sta Isinbaeva. Vulgo, non significa soltanto che ha un corpo nobile e un viso simpatico e occhi che uno potrebbe trascorrere il resto della vita sua a guardare senza sentirsi d'aver perso tempo - significa invece che così, d'impatto, il suo rendimento sportivo si distacca da ogni altro evento agonistico per diventare una parabola puramente estetica, una virgola di sublime, una solitaria sfida al cielo che renderebbe plausibile - toh - vedermela or ora saltare in casa attraverso la finestra aperta.
La quale si presenta all'unica finale che la veda in gara con l'aria di chi ha più urgenti affari da sbrigare, assiste con divertita commiserazione ai tentativi preliminari a 4 metri e 30 (4,30! ché lei li salterebbe senz'asta, volendo), vede le sue avversarie ascendere fino a misure pressoché decenti e poi, senza colpo ferire, per senso del dovere salta 4,70 al primo tentativo: lì già sono rimaste in poche a tenerle testa. Dopo di che lascia perdere quando le altre saltano 4,75, lascia perdere quando le ultime tre tentano i 4,80 e di nuovo - risollevandosi dal suo improvvisato giaciglio (stesa immobile sull'erba con un asciugamano in faccia) - provvede a punire l'americana Stuczynski, l'ultima sola che fosse sopravvissuta a quelle altezze, saltando senza apparente difficoltà cinque centimetri più su, 4,85.
E allora ha già vinto l'oro con due saltelli scarsi, perché con tutta la buona volontà la Stuczynski 4,90 non li salterà mai e poi mai, come volevasi dimostrare. Al che, per fare una cosa alla volta e rendere degna di memoria la medaglia salta 4,95 come antipasto (invero un po' difficoltoso, ché ai primi due tentativi le resta sullo stomaco), poi si fa alzare l'asticella a 5,05, dove nessuna mai, e lì ricomincia il suo meraviglioso limbo all'incontrario. Per due volte concede al cielo l'illusione di essere ancora lontano; cade, ride, si lamenta, si nasconde tutta sotto un telone, riemerge, si bisunge le manine, recita il suo segreto rosario e quindi raggiunge il cielo rincorrendolo all'ultimo secondo dell'ultimo tentativo - né si limita a lambirlo, ma ci passa dentro, lo trafigge, minacciando di continuare a portare l'asticella sempre più in alto di un centimetro, di qui all'eternità.
Sarà che - come dicono le mie amiche più moraliste - ci sarà qualcosa di freudiano nel mio infantile entusiasmo per una signorina che maneggia un'asta allo scopo di planare su un materasso; sarà. Se non che da ieri sera chiunque commenti la faccenda non fa che sottolineare quant'è bella 'sta Isinbaeva. Vulgo, non significa soltanto che ha un corpo nobile e un viso simpatico e occhi che uno potrebbe trascorrere il resto della vita sua a guardare senza sentirsi d'aver perso tempo - significa invece che così, d'impatto, il suo rendimento sportivo si distacca da ogni altro evento agonistico per diventare una parabola puramente estetica, una virgola di sublime, una solitaria sfida al cielo che renderebbe plausibile - toh - vedermela or ora saltare in casa attraverso la finestra aperta.
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