(Gurrado per Books Brothers)
Da grande voglio fare il re
perché
si guadagna bene;
ma mia madre mi fa fare i concorsi
vuol dire che
non ha fiducia in me.
(Lello Arena, Enzo Decaro, Massimo Troisi)
Una contegnosa signorina s’è meravigliata leggendo, alla fine della puntata scorsa, che per sopravvivere alla villeggiatura fossi andato in libreria a comprare una copia de Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni. “Non potevi pazientare un altro paio di giorni e usare, una volta a casa, la copia di quand’eri bambino, che sicuramente era pure scritta più larga?” “Macché, quand’ero bambino non possedevo copia alcuna del Verne, indi per cui mi era mestieri comperarla.” “Quindi da piccolo hai letto il Verne ricevendolo in prestito dalla locale biblioteca?” “Macché, quand’ero bambino non ho letto il Verne né mio né altrui, tanto più che l’unica biblioteca del mio paese pare aver chiuso gli acquisti prima che il Verne iniziasse a scrivere o addirittura nascesse issofatto”.
Se dovessi redigere una succinta biografia (in tre comode rate) della mia onorata carriera di non lettore, inizierei senz’altro dal Verne e dai libri per l’infanzia. Mentirei dicendo che casa mia, piena di libri fino al soffitto, non contemplasse nemmeno una copia del Giro del Mondo nel breve corso della mia infanzia (infatti alla signorina l’ho detto; ma è diverso, perché alle signorine si deve mentire sempre, per non perdere l’allenamento); una me ne era stata regalata per la Prima Comunione, o per la Prima Confessione, o per l’Unica Cresima o per una delle varie pratiche parrocchiali che vengono solitamente sbrigate in gran furia fra la terza e la quinta elementare, accuratamente prima che qualcuno possa capirne qualcosa, con la ragionevole eccezione del parroco e del Vescovo in persona. Si trattava di un’attraente edizione illustrata con tratto espressionista, in cui le immagini erano saggiamente alternate ai testi sulla stessa larga pagina, che avrebbe fatto venir voglia di saltar dentro alle avventure di Phileas Fogg e Passepartout perfino a un cinghiale analfabeta. Io, ça va sans dire, non lessi: lo ricevetti, educatamente ringraziai, promisi di iniziarlo a temo debito e per custodirlo lo nascosi così bene che tuttora non l’ho ancora ritrovato.
Avrei potuto rifarmi col resto della produzione dello stesso autore. Ventimila Leghe Sotto i Mari mi venne regalato l’anno dopo, forse dalla stessa persona che non ricordo chi fosse, ma a questo punto dovrebbe trattarsi di qualcuno che incassava i residui diritti del Verne, vista la pervicacia con cui lo riportava a galla; infatti di lì a poco mi fu regalato anche Dalla Terra alla Luna, e ogni componente del trittico verniano (vernesco?) fece la stessa fine, come un sol libro. I due ulteriori volumi del Verne avevano formato diverso, meno simile a un albo e più simile a un libro propriamente detto, e le immagini non erano più intersecate coi capoversi ma di volta in volta intercalate ogni decina, o trentina, o cinquantina di pagine narrative. Sul retro di ogni immagine, vista la differente qualità della carta, la pagina restava bianca, rendendo l’idea che sul recto il disegnatore mettesse quello che era riuscito a dedurre dal testo romanzesco, sul verso quello che ogni bambino avrebbe dovuto immaginarsi per conto proprio. Sempre che leggesse, ovviamente; ma io, ça va sans dire, non lessi e quindi non immaginai un bel niente. Immaginarono invece i miei genitori i quali, apprezzando la bella edizione per ragazzi che riuniva i due ulteriori romanzi del Verne, pensarono bene di seguitare la raccolta comperandomi altri volumi da mettere in fila sullo scaffale unico di camera mia. Arrivò Senza Famiglia. Arrivarono I Tre Moschettieri, grazie a Dio in formazione ridotta. Arrivò, con eccessiva fiducia nelle mie capacità, Quo Vadis? - io girai coscienziosamente le pagine di ognuno, controllai accuratamente che dietro ogni immagine ci fosse una pagina bianca, e non lessi un accidente.
Il disperato tentativo venne compiuto dai miei genitori durante la notte di Natale del 1990, un paio di settimane dopo il mio decimo compleanno (per un bambino, entrare in doppia cifra è il primo confronto della vecchiaia, quindi è una data da maneggiare con cautela). Sotto l’albero trovai una copia finemente illustrata delle Avventure di Huckleberry Finn. Reagii con entusiasmo, spingendomi all’eccesso di iniziare a leggerlo quella stessa notte - poi ovviamente mi addormentai e, ça va sans dire, per quel che riguarda Huckleberry Finn è come se da allora io non mi sia mai risvegliato. Non a caso i miei genitori hanno pensato bene di non farmi più regali, né mi sentirei di dar loro torto. Per rappresaglia hanno addirittura smesso di imbastire l’albero di Natale, né il Presepio, il tutto per colpa di Mark Twain.
“Ma, sant’Iddio, qualcosa avrai pur letto da bambino”, insiste la contegnosa signorina la quale, essendo appunto contegnosa, rifugge dal giustapporre alla sua istanza rutilanti perifrasi che la mia lingua grassa ficca un po’ ovunque (anche quando scrivo, ma poi cancello il tutto). Contando sulle dita di una mano, a prezzo di enorme concentrazione e sovrumani sforzi mnemonici, posso ricordare di aver letto, da bambino, un’edizione a fumetti dei Promessi Sposi, che è fatta benissimo e tuttora conservo con morbosità, tanto che ancor oggi, ogni volta che ripiglio un passo del romanzaccione, mi figuro tutti i personaggi con le facce altamente colorate. Poi ho letto una roba chiamata Atomino, della quale sinceramente non ricordo l’autore, ma che mi ha impresso nel cuore un assioma fondamentale, ove dice “un generale in mutande non è più un generale”; certezza che nei decenni m’è stata di molto momento ogniqualvolta mi sono trovato a dover parlare in pubblico di un argomento che non conoscevo (l’altra sera mi hanno fatto presentare una conferenza sul jazz, e io sono pure mezzo sordo, ditemi voi), o a sostenere un esame senza aver studiato (cosa relativamente semplice, sono laureato in filosofia), o a dichiarare il mio amore eterno e indefettibile a damigelle delle quali già allora non ricordavo il nome. Dovrei aver letto Il Giornalino di Gian Burrasca, ma forse ho fatto solo finta per contentare la maestra. Soprattutto ho letto e riletto Pinocchio in una preziosa edizione illustrata da Jacovitti, che non è quella corrente che si trova tuttora in commercio e alla quale state pensando voi, ma una più antica e arcana in cui Jacovitti non jacovitteggia ma affresca letteralmente le scene via via che accadono, roba che nel suo piccolo regge il confronto con De Chirico e fa una pernacchia al resto della produzione artistica italiana del Novecento; un’edizione che so benissimo dov’è ma da anni non mi azzardo ad aprire per non scoppiare a piangere al pensiero che il tempo sfugge secondo dopo secondo e che nessuno lo può fermare, nemmeno un libro.
D’altronde, diceva Picasso, ci vuole molto tempo per diventare giovani - o forse diceva semplicemente che solo dopo anni di pratica aveva imparato a disegnare come un bambino. Io ci ho messo parecchio per imparare a leggere libri per ragazzi, e sulla stessa spiaggia dove quest’anno ho letto Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni, nel 1991 leggevo L’Antologia di Spoon River - ero un bambino decadente, che aveva fretta di diventare adulto, invecchiare e morire. Diciassette anni dopo, avendo accumulato molto tempo perso, la situazione è diventata pressoché irrimediabile quindi ho un po’ meno fretta. La contegnosa signorina è una grande sostenitrice di Harry Potter e sta cercando di inculcarmelo poco a poco, lasciandolo cadere nel discorso; ma sento di non essere ancora abbastanza vecchio per affrontarlo come si deve.
(Postilla storico-sociologica: ma com’è che all’epoca, pur leggendo tanto, sono riuscito a scansare tutta la narrativa per l’infanzia, tutte le avventure avventurose che costituiscono la memoria comune dei bambini di ogni tempo? La butto lì: io sono stato consapevolmente bambino fra il 1987 e il 1992. In quel tempo c’erano, tutti insieme, Gorbaciov, Ceausescu, Mandela, Clinton, il Muro di Berlino, la Guerra del Golfo, Tangentopoli; e poi Gullit, Van Basten, Maradona, Baggio, Indurain, Bugno, Chiappucci, Prost, Senna, Lendl, Becker e così via. Bastava aprire un giornale per venire catapultati in un mondo esclamativo. Beato il bambino che non ha bisogno di eroi immaginari.)
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